martedì, 23 Aprile 2024
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La cultura online vale quanto quella in presenza? Intervista a Sergio Givone

Il filosofo Sergio Givone spiega perché, per vivere davvero la cultura, non bastano dirette streaming, visite virtuali e lezioni su Skype

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Musei chiusi, sale da concerto vuote, teatri sprangati. Così come cinema, biblioteche, auditorium. Il Covid-19 ci ha fatto velocemente abituare (o rassegnare?) a una cultura vissuta in diretta ma a distanza, online, seduti comodamente sul divano di casa, fruita attraverso uno schermo, un monitor, un dispositivo digitale. E allora ecco un profluvio di opere d’arte filtrate da pixel, di concerti in streaming, di festival a cui partecipare online. È stata una risorsa poter continuare a godere della cultura, anche se da lontano. Un espediente che, grazie al tempo dilatato del lockdown, ha consentito – dati alla mano – a tanti di riprendere contatto con il vastissimo patrimonio di cui disponiamo.

Quali sono i pro e i contro della cultura online, un sapere vissuto attraverso il filtro di un monitor?

“Vedo soprattutto contro”. Sergio Givone*, filosofo e ordinario di estetica all’Università di Firenze, ha pochi dubbi. “Per chi fa il mio mestiere, il silenzio e il raccoglimento sono preziosi, è vero. E questo periodo di allontanamento forzato ci ha permesso di riconquistarli. Ma il costo di questa riconquista è altissimo perché contempla l’allontanarsi dai luoghi della cultura”.

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In che senso questo rappresenta un handicap?

Perché la cultura è luogo. La cultura ha bisogno di essere vissuta dove la si fa. Nelle biblioteche, nei musei, nei teatri, nelle aule universitarie. Bisogna stare di fronte all’opera d’arte per poterne godere. I libri bisogna poterli scegliere a scaffale aperto. Un libro chiama l’altro. E un’idea nasce da un fallimento. Magari andando alla ricerca di un libro che non troviamo, ci imbattiamo in un altro che ci apre la mente.

I supporti digitali non aiutano in questo senso? O forse non bastano?

Certo, abbiamo i dvd, le cassette, ammesso che si abbia ancora un apparecchio che ci consente di leggerle (ride, ndr), ma non basta. In questi mesi ho rivisto cose che non vedevo da tanto tempo. Ma non è sufficiente, c’è una grande nostalgia per i luoghi della cultura. Per i musei in cui hai un’opera d’arte a poca distanza da te, per le aule universitarie e le sale conferenze, dove ti rivolgi direttamente alla gente; e se hai una persona di fronte, ti accorgi se si sta annoiando o se interagisce con te.

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Dunque gli svantaggi della distanza, della cultura online vincono totalmente sui vantaggi…

Qualche vantaggio c’è, non lo nego. A volte persino dimentico che viviamo in questa situazione.  Scrivo, sento musica, guardo film e spettacoli e per certi versi non mi pesa, sto quasi meglio di prima, ma lo svantaggio la vince sul vantaggio. La perdita vince su quello che ho riconquistato, non possiamo fare a meno della cultura dal vivo.

Crede che riusciremo a trarre una lezione da questo periodo di difficoltà?

Tendiamo a imparare così poco dalle disgrazie… Dovremmo farlo, ma non è così. In questo senso, il Covid-19 rappresenta un’occasione. Ci ha permesso di recuperare valori che avevamo perso. Ci ha permesso di riflettere sul fatto che finché abbiamo le cose non ne soffriamo la mancanza. Quello che fa davvero male, la vera povertà culturale, è il non rendersi conto della mancanza. Non sentirne più il bisogno sarebbe il male più grande.

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In questo senso spero che il Covid-19 ci lasci un po’ di fame. La mancanza, il non avere a disposizione quello che si vuole, ricrea in gusto, fa rinascere il piacere. Nel momento in cui le cose diventano rare si apprezzano di più. Pensi a un pezzo di pane. Se ce ne fosse meno, ritroveremmo il gusto di quel pane. Lo stesso mi auguro che succeda per le grandi opere. Non ci rendiamo conto di quanto siano rare e importanti fino a quando non ci vengono a mancare.

A proposito di pane, è passata alla storia la triste uscita di quel ministro che disse “con la cultura non si mangia”…

Abbiamo fatto finta di credere che la cultura non fosse essenziale. E invece è importante dal punto di vista economico come moltissimi altri settori. In un’economia come la nostra dove non si vive di solo terziario, anche il cinema, il teatro e i musei sono attività economicamente rilevantissime. Figuriamoci se possiamo considerarle non essenziali.

Noi fiorentini, quale insegnamento dovremmo trarre?

Dobbiamo imparare a tornare nei piccoli musei, nelle chiese di campagna, a frequentare i teatri minori e i luoghi fuori dai soliti itinerari, questo dovremmo imparare. Bisogna vivere Firenze in modo diverso, non pensando di andare a fare una veloce scorpacciata di arte. Non è così, la cultura si conquista con il tempo, la calma, lo studio. Vivendola in modo diverso da come l’abbiamo vissuta fino ad oggi.

Sergio Givone*Sergio Givone è un filosofo e accademico, professore ordinario di estetica all’Università di Firenze. Tra le sue numerose opere: La storia della filosofia secondo Kant (1972), Ermeneutica e romanticismo (1982), Storia del nulla (1995), Eros/ethos (2000), Prima lezione di estetica (2003), Il bibliotecario di Leibniz (2005), Metafisica della peste (2012), Fra terra e cielo. La vera storia della cupola di Brunelleschi (2020)

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