Il 24 di giugno Firenze si riscopre (inconsapevolmente) divisa tra nobili e plebei, come accadeva ai tempi della signoria. Come in un rituale dantesco, è facile capire chi si colloca dove, basta osservare chi assiste ai fuochi (o “fochi” per i puristi della lingua).
Come tutti sanno, i giochi pirotecnici che ogni fiorentino aspetta, vengono sparati dalla collina del piazzale Michelangelo. Ecco, immaginando di guardare la città dal punto di vista dei fuochisti, dall’alto in basso, ci si accorge di una suddivisione netta.
In primo piano si possono ammirare i più fortunati, i signori, i nobili della situazione. Par di vederli sorseggiare drink in compagnia di amici selezionatissimi osservando le esplosioni dalla terrazza sul tetto, rigorosamente orientata nella giusta direzione. Come se fosse stata costruita apposta. Più in basso (ma già decisamente più in basso) ci sono quelli che stanno con la testa all’insù sul lungarno Cellini. Luci spente, strada deserta, qualche testa nel mezzo. Ma insomma, non ci si può lamentare.
Più in là c’è chi sta sui ponti, ammassati come al concerto degli U2. E poi sul lungarno della zecca vecchia, dove la ricorrenza si trasforma in festa di paese, con tanto di lupini, brigidini e patate fritte. (Poco) dulcis (ma molto) in fundo ci sono quelli in coda sui viali. Quelli che non hanno fatto i calcoli e sono rimasti bloccati nel traffico. Si ritrovano sistematicamente incastrati nell’ingorgo, scendono dalle macchine e guardano mesti il cielo. Smoccolano ogni tanto tra sé e sé e pensano già al ritorno, maledicendosi per non aver seguito il consiglio della mamma, che suggeriva di prendere l’autobus. “Giuro che l’anno prossimo me ne sto a casa”, si sente dire dall’ultimo girone. Vedremo.