Io personalmente, seguo una precisa scuola di pensiero. Non condivido l’atteggiamento di chi, pur di fare un piacere al donatore, espone sui propri scaffali soprammobili di dubbio gusto, portafoto con lastre d’argento multicolor o sfoggia magliettine stile hippie provenienti da un posto nel mondo dove non sono ancora passate di moda (“sai, le disegna a mano un ragazzo in Brasile, quando l’ho vista ho pensato subito a te”. Argh.).
No, no. Bando alle smancerie. Se entrando a casa mia non vedrete quel “delizioso” orologino a forma di mazza da golf che mi avevate regalato per la laurea, non abbiate dubbi. E’ stato scaraventato in fondo ad un cassetto pochi minuti dopo averlo ricevuto. Tutto questo per dire che un regalo è sempre un regalo, ma se è vero che non può essere rifiutato, è altrettanto vero che se non rispecchia il gusto di chi lo riceve, può essere messo in cantina (o quantomeno eliminato dal proprio campo visivo).
Ma questo discorso vale anche se il presente è un’opera d’arte e se il destinatario è una città anziché una persona? Una città, come la casa o il corpo di ognuno di noi, deve indossare l’ “abito” che più le si addice e Firenze può permettersi di scegliere quello che vuole o non vuole indossare. Di sicuro non può riciclare il presente, ma perlomeno può permettersi di decidere se collocare il cadeaux nel cuore del centro storico o in luogo un tantino più defilato. Male male, quando il donatore tornerà a fare visita, gli si può sempre rifilare la vecchia scusa che “in centro ce n’è già troppe, meglio un posto meno inflazionato dove l’opera risalti di più”. Sempre meglio della cantina.