venerdì, 15 Novembre 2024
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La matassa di Ficarra e Picone al cinema

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C’è chi eredita denaro e chi la casa o la terra. Gaetano e Paolo, dai loro padri, hanno ereditato una lite. Per vent’anni i due cugini hanno vissuto nel rispetto di questo lascito, senza mai metterlo in discussione e anzi perpetuandolo, ma un giorno il caso li ha riunito sotto lo stesso tetto, quello della chiesa di don Gino, e li ha costretti a un gesto di pace. Per i novelli Caino e Abele è solo l’inizio della corsa ed è già tutto uno sgambetto.
Salvo Ficarra e Valentino Picone, ad un capo e all’altro de “La Matassa” da sbrogliare, calcano nuovamente le orme della commedia all’italiana, trattando in chiave comica un tema che si poteva benissimo prestare allo svolgimento serio o drammatico.
Coppia buffa ad altissimo tasso di gradimento, al fisico degli everyday men associa, invece, una forte caratterizzazione regionale (anche se questa volta i due tradiscono Palermo per Catania) e un umorismo quasi d’altri tempi, mai volgare, che ha il suo esito ultimo nel sentimento (ma non nel “volemose bene”) e che poggia sulla cattiveria troppo approssimata per ferire di Ficarra e sull’inettitudine troppo disarmante per non intenerire di Picone.
Il lavoro cinematografico, ancora una volta, è affrontato seriamente, con il supporto di esperti sceneggiatori, la condivisione della direzione con Giambattista Avellino e l’impiego – encomiabile- del patrimonio attoriale siciliano (Gioè, Musumeci, Centamore, Pupella, Martorana, Astorina). Chi si attende la catena di sketch resterà fortunatamente deluso, perché il copione è più che solido, e così chi s’aspetta il teatro filmato, smentito in più occasioni da riprese complesse. Se mai si avverte, a volte, un sentimento del tempo eterogeneo; come quando, di contro ad un Ficarra sempre in movimento o inquadrato nel bel mezzo di una marachella da sbrigare velocemente, l’obiettivo si attarda sul lento mutare d’espressione di Picone, fermando improvvisamente il film su un primo piano che, comunque, ha l’eloquenza di un monologo.
Due comici due ritmi, dunque, e una regia a sei mani – pratica al limite dell’esperimento – che si può serenamente dire riuscita, poiché si fa orologio svizzero là dove è importante che lo sia (come nella scena dell’inseguimento con la valigetta) e pratica di libertà altrove, a tutto vantaggio della spontaneità della scena. 

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