La nutrita schiera di nobili toscani, i cui nomi altisonanti fanno balzare alla mente palazzi imponenti e stemmi disseminati per la città, da un po’ di tempo a questa parte hanno cominciato a fare, si potrebbe dire, “di nobiltà virtù”, sfruttando il loro nome per dar vita ad attività invitanti quanto remunerative. Come nella migliore tradizione toscana, tutto è equilibrato e mai fuori squadra.
Sui siti internet e nei depliant che invitano a frequentare i loro agriturismo (deluxe) per un weekend di tranquillità, principi, principesse e conti indossano polo dai colori tenui, giacche tipo buttero e pantaloni cachi. Sorridono insieme ai lori pargoli e le gentildonne mostrano volti scuriti dal sole e senza un filo di trucco. Il look da contadino vip va per la maggiore.
La riscoperta delle origini diventa un vanto. Ma di quali origini si sta parlando se i cosiddetti lavori di fatica non rientrano, a memoria d’uomo, nel dna di questi signori (a meno che non si vada molto molto indietro, quasi alle radici dell’albero genealogico)?
Il nobile denobilizzato piace un casino. Sta su un poggio e grida “sono uno di voi”, gioca a non tirarsela, si dedica ad attività benefiche. E spesso la gente abbocca. Si fa conquistare dal sorriso bonario e accondiscendente. Si scioglie come farebbe davanti ad un impomatato Tom Crouise alla notte degli Oscar.
“Hey, ha guardato me” oppure “si è avvicinato per stringermi la mano”. I comuni mortali si crogiolano in questi momenti, credono che oggi, nel terzo millennio, non esista più il divario storico tra signori e gente comune. I loro b&b glielo fanno credere, e le etichette in offerta al supermercato. Un american dream in salsa toscana. Della serie: l’importante è crederci.