sabato, 14 Dicembre 2024
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La pittura di Maidoff al Marini di Firenze

Jules Maidoff museo Marini Firenze

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Americano di profonde radici a Firenze, e in sostanza artista del mondo”, Maidoff arriva per la prima volta in Italia, a Firenze, nel ’56 grazie ad una borsa di studio. Da quel momento la sua vita non sarebbe stata più la stessa: “Sentii che l’Italia mi apparteneva”. Maidoff, instancabile “visionario”, che ha realizzato fino ad oggi più di 200 personali in tutto il mondo. Artista figurativo, “con la fantasia straripante di uno Chagall, l’inventiva esplosiva ed inesauribile di un Max Ernst, l’ironia e l’icasticità di un Dix o di un Maccari, il senso drammatico di Francis Bacon”. Fondatore di una delle più importanti scuole internazionali di arte in Europa, la SACI (Studio Arts Center International a Firenze) che a Firenze in 33 anni di attività ha formato migliaia di giovani, passando dai 12 studenti del 1975 agli attuali 700. “L’arte non è la realtà. La pittura non è la realtà, afferma Maidoff, quest’ultima è sempre stata un pretesto per fare arte. Un buon dipinto è come un totem, la presenza fisica di un’idea”. Nei primi dipinti degli anni Cinquanta, sono evidenti gli esempi a cui Maidoff ha guardato con maggiore insistenza, l’Espressionismo tedesco e Beckmann in particolare, ma altrettanto è esplicito il riferimento alla realtà che lo circonda e della quale descrive la cronaca, i fatti, dandone notizia con acuta inquietudine. Ma già in un dipinto degli anni ’60, l’Annuncio secolare, il realismo espressionista di Maidoff si complica e la realtà lascia il passo alla libertà e alla fantasia. In un interno borghese, spoglio e dimesso, un giovane sta in piedi davanti ad una ragazza seduta, ai piedi un cane accucciato. Maidoff, viola la legge realistica della fedeltà al vero, mettendo due ali al giovane padre, come fosse l’arcangelo Gabriele. La vita è colma di miracoli ed ogni uomo li può fare, ci dice Maidoff. Da questo momento in poi l’artista da il via ad un processo poetico dove lo scambio tra realtà e fantasia si fa sempre più fitto, sino a convivere nella stessa opera con esuberante potenza. Benché intrepido visionario, la sua non sarà mai un’arte di evasione, per quanto fantasiosa e a tratti ludica. Le sue opere vanno alla sostanza delle cose, portando in evidenza le contraddizioni, le umane follie, il fango delle volgarità sociali, le questioni e le problematiche più spinose del nostro tempo. Il colore è lo strumento fondamentale: l’azzurro-lapislazzulo, il verde-smeraldo, il giallo-ambra, il viola-ametista, il rosso-piropo. Sono i colori dell’anima e dei sensi di cui egli conosce il segreto e l’incanto. I suoi dipinti sono carichi di pigmento, a strati, pieni di testura, densi di immagini, inebrianti, abbondanti. Al suo opposto i disegni, leggeri, quasi aria. “Il peso che riempie i quadri e che lega la loro danza inebriante alla terra è svanito. Le immagini sono libere”. Gurdando il percorso artistico di Maidoff colpisce la coerenza straordinaria che ha dato vita ad una iconografia tanto diversificata ma sempre rispondente alle questioni più spinose del nostro tempo.Nato nel 1933 a New York, nel popolare quartiere del Bronx, da una famiglia di origini russo-rumeno-ebree, fin dall’infanzia Maidoff sente che creare immagini è per un lui un imperativo. I primi ricordi che riguardano l’arte si riferiscono ad alcune xilografie che illustravano il Libro dell’Esodo. La lettura annuale dei testi Pasquali Ebraici e l’aprirsi della porta, nella casa dei nonni, per consentire all’Angelo della Morte di bere nel proprio calice, rappresentavano momenti di intensa drammaticità: “la mescolanza di riti ed immagini era una metafora pregnante dell’attraversamento della vita, una metafora che mi ha dato la misura del potere e degli effetti che le arti visive hanno sulle persone. Le immagini divennero per me un modo di affrontare la vita”. Prima il liceo artistico a Manhattan, frequentando tutti i luoghi dell’arte della New York del tempo, poi la Cooper Union Art School e il City College, infine la decisione di iscriversi all’Università, “perché ritengo ancora adesso che l’artista ha il dovere di essere preparato intellettualmente”. Fu in quel periodo che Maidoff inizia a fare il graphic design per alcune televisioni dalla ABC alla WABD. Poi la borsa di studio Fulbright per l’Italia. Il soggiorno a Firenze segna l’inizio di un cammino di indagine artistica tuttora centrale nel lavoro di Maidoff: “Mi resi conto di quanto fosse difficile creare un vero quadro, combinando il contenuto sensuale con la tecnica”. Firenze risorgeva dopo la guerra: “ Giravo come un matto tutto il giorno e la notte per le strade e per i musei, mi comprai una Topolino tipo C del ‘39”. Dopo un anno, ritornato a New York, Maidoff inizia ad esporre le sue opere, e allo stesso tempo i suoi lavori diventano copertine per le più importanti case discografiche del tempo. In breve conosce un grande successo, lavora come graphic design per il cinema e la musica. Una vita brillante, al top, ma Maidoff inizia a chiedersi se l’eccitante scena culturale di New York sia veramente ciò che vuole. Dopo alcuni viaggi in Italia, nel 1969, inizia a progettare il suo trasferimento in Italia che avviene in via definitiva nel 1973 (con moglie, bambini e cane), in occasione del suo quarantesimo anno. Sono di quegli anni le mostre con i galleristi e fratelli Montanucci ad Orvieto e nella mitica galleria il Grifo a Roma.
La mostra è corredata di un catalogo bilingue, a cura di Angelo Pontecorboli Editore, con testi di Giuliano Serafini, Cristina Acidini, Carol Becker e Mario De Micheli .

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