venerdì, 22 Novembre 2024
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“Sullo stadio Artemio Franchi di Firenze siamo sulla giusta strada”

Intervista a Pier Matteo Fagnoni, presidente dell’Ordine degli architetti: “Sullo stadio siamo sulla giusta strada, vedremo se Commisso è davvero fuori dalla partita". Un modello di rigenerazione urbana? "Sant’Orsola: basta con hotel extra lusso”

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Il futuro dello stadio Artemio Franchi di Firenze, gli interventi di rigenerazione urbana, il turismo e la svendita del patrimonio di valore storico e architettonico a Firenze. Abbiamo fatto qualche domanda a Matteo Fagnoni, presidente dell’Ordine degli Architetti di Firenze, per fare il punto sul destino della città.

Per lo stadio Franchi siete stati tra i primi a chiederla: la strada del concorso di idee è sempre la migliore?

Intanto è necessario stabilire la differenza tra concorso di idee e concorso di progettazione. Il concorso di idee serve a raccogliere delle proposte quando non si ha la cognizione esatta di ciò che si debba andare a realizzare. Ad esempio, una piazza da riqualificare senza sapere con quali attività. In quel caso il concorso di idee può essere opportuno. Nel caso dello stadio Artemio Franchi di Firenze e dell’area di Campo di Marte è invece il concorso di progettazione lo strumento più idoneo, perché porta a un progetto completo, autorizzabile e vincolante per la realizzazione dell’opera.

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Non crede che riprogettare il quartiere intero senza ancora sapere se la Fiorentina ci sarà o no sia un limite?

Sicuramente lo è. Sarebbe stato molto meglio se il percorso dialettico tra il Comune di Firenze, la Fiorentina e la Soprintendenza fosse stato più costruttivo fin dall’inizio invece del braccio di ferro che si è creato. Con responsabilità da parte di tutti. Dell’amministrazione comunale, che nel tempo ha ondeggiato tra soluzioni diverse: prima lo stadio nuovo alla Mercafir, poi di nuovo lo stadio Franchi ma dicendo che si sarebbe fatta una legge muscolare per agire come meglio si sarebbe creduto. Infine la formula attuale, che alla Fiorentina non va più bene. D’altra parte viene da domandarsi se davvero la proprietà della Fiorentina avesse come unico obiettivo la demolizione totale dello stadio e la sua ricostruzione nello stesso posto. Fosse stata la loro posizione già un anno e mezzo fa forse il Comune avrebbe subito potuto dire di essere nettamente contrario. Questo almeno è ciò che sappiamo leggendo sui giornali. Poi magari esiste un’altra possibilità.

Cioè?

Lo dico senza che ci siano fatti, dati o elementi concreti a confermarlo. Ho però la sensazione che, al di là di ciò che Commisso ha dichiarato, in fondo possa esserci l’idea di una sua partecipazione, magari per alcuni degli spazi commerciali che vengono annunciati. Così la Fiorentina in qualche modo entrerebbe comunque nel nuovo progetto del Comune.

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Stadio Franchi, progetto Giraldi
Stadio Artemio Franchi di Firenze, progetto Giraldi

Perché non si possono demolire le scale elicoidali o le curve? In altri termini, dov’è che si traccia la linea tra un valore architettonico da preservare e una cosa che invece non si può abbattere semplicemente perché è vecchia?

Tracciare linee nette è difficile e ovviamente si lascia che siano gli esperti a farlo. In questo caso si è espressa prima la Soprintendenza con una relazione storica e poi il ministero. Perché è difficile? Perché ci sono caratteri oggettivi e caratteri soggettivi. Nel caso specifico del Franchi, quando l’ingegner Pier Luigi Nervi progetta lo stadio nel 1931 produce delle innovazioni formali e tecnologiche di altissimo livello. Nelle scale elicoidali, forma e funzione diventano un’unica cosa. È riuscito a realizzare un modello che è rimasto oggetto di studio nel tempo perché ha usato in maniera estremamente innovativa un materiale, il calcestruzzo, che negli anni Trenta era tutto da scoprire. Lui si inventa una soluzione che lo rende resistente proprio grazie alla sua eleganza formale quasi unica. Stesso discorso per la struttura delle curve, per la pensilina e la torre di Maratona. Si può intervenire, anzi si deve. Lo stadio Artemio Franchi di Firenze ha enorme necessità di una ristrutturazione. Ma bisogna farlo cercando di integrare le nuove funzioni con quello che è da preservare.

Vale un po’ per tutti gli interventi di rigenerazione urbana a Firenze, un tema caldo. C’è un progetto al quale guarda con attenzione?

È un tema vivo perché nato dal fatto che una parte del centro storico è stata svuotata dalle sue funzioni. Tutta l’area della giustizia, con lo spostamento del Tribunale e del suo indotto. Le caserme trasferite nella nuova Scuola marescialli. L’Ospedale San Gallo, le università. Questi spazi rimasti vuoti vanno ripensati e rifunzionalizzati. Tra gli esempi più virtuosi sembra esserci finalmente il recupero di Sant’Orsola, un contenitore vuoto da 30 anni che ha generato continui dibattiti perché ogni poco arrivava un potenziale finanziatore con delle idee che la Città metropolitana, proprietaria del bene, non riusciva a far quadrare con le esigenze di un immobile nel cuore di Firenze. Soprattutto perché spesso si trattava di investimenti a fini puramente speculativi. Il progetto presentato oggi dalla società francese Artea sembra essere una buona soluzione, ovviamente migliorabile, ma si sta comunque parlando di un investimento di circa 40 milioni di euro per un recupero che finalmente potrebbe essere tra i più virtuosi. In queste settimane sono stato colpito, anche qui in modo positivo, dalle nuove proposte su Santa Maria Novella. Anche questo sembra un recupero molto interessante.

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Progetto Sant'Orsola
Progetto Sant’Orsola

Uno che invece deve essere migliorato?

Va detto che molte opere sono ancora solo sulla carta. Certamente ce ne sono alcune che andrebbero valutate con maggiore attenzione. Penso a quei progetti di turismo elitario, gli alberghi cosiddetti a sei stelle come quello proposto per l’ex Caserma Vittorio Veneto, con tanto di funicolare alle pendici della collina del Forte Belvedere. Chiediamoci se questa è la vocazione di una città rinascimentale come Firenze.

Progetto caserma Vittorio Veneto
Progetto caserma Vittorio Veneto

Con quali strumenti ci si difende dalla svendita del patrimonio?

Chiariamoci, non voglio demonizzare l’investitore. Chi ha la possibilità di fare investimenti fa le sue proposte, si tratta di capire se queste coerenti con lo sviluppo di una città. Un anno di pandemia ci ha detto che la monocultura turistica su cui Firenze ha puntato probabilmente va ripensata. E per farlo ci sono gli strumenti urbanistici della politica. Il Comune di Firenze sta lavorando al nuovo piano operativo, esattamente lo strumento normativo che dovrà individuare lo sviluppo progettuale della città nel tempo. L’ultimo grande piano urbanistico fu quello del 1962, il piano Detti, su cui è stato impostato lo sviluppo di Firenze dopo il boom economico. Con scelte giuste e sbagliate. Sono scelte politiche che devono però avvalersi anche di studi sociologici, tecnici, economici, per dare una prospettiva idonea alle esigenze di chi nella città ci vive, ci lavora e ne fruisce.

Non si rischia però di incagliarsi in quel conservatorismo che resiste sempre quando si tratta di beni culturali e architettonici?

La conservazione fine a sé stessa si è rivelata fallimentare. Trovare l’equilibrio tra conservazione e innovazione però non è semplice. Prima di tutto si devono ripensare le funzioni e ciò significa riportare nel centro storico alcune di quelle funzioni che sono state allontanate perché il turismo rendeva di più. Oggi forse, come ha anche detto onestamente il sindaco Nardella, bisogna pensare se ha veramente senso aver svuotato il centro dagli uffici, dalle università. Anche a livello turistico si devono immaginare spazi integrati tra un turismo massivo, come quelle che abbiamo avuto fino a oggi, e un turismo più lento, in cui si offrono possibilità di permanenza e attrazioni che non siano semplicemente puntuali. C’è la visita al Duomo, ma potrebbero esserci anche percorsi di formazione per la riscoperta dell’artigianato fiorentino. Ecco, un lavoro di questo tipo credo che sia possibile e auspicabile.

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