In occasione della nona edizione di Open City, il cartellone estivo di appuntamenti culturali della città di Scandicci iniziata lo scorso primo luglio, atterra stasera al Castello dell’Acciaiolo “Stazioni Lunari”, che vede come ospiti d’eccezione per questo concerto Erriquez della Bandabardò, Daniele Sepe e i giovani Pippo e i suoi Pinguini Polari, che divideranno il palco con Francesco Magnelli e la “padrona di casa” Ginevra Di Marco. Accompagnati dal gruppo di “Donna Ginevra”, Erriquez, Daniele Sepe e i Pinguini interpreteranno canzoni dal proprio repertorio riarrangiate per l’occasione e canzoni attinte dal vasto repertorio della musica tradizionale, contribuendo ognuno liberamente alle musiche dell’altro, per dar vita a un concerto che diventa una festa.
L’INTERVISTA. Stazioni Lunari nasce da un’idea di Francesco Magnelli (membro fondatore dei C.S.I. e PGR), pianista, compositore, arrangiatore. Spinto dalla profonda necessità interiore di interagire con altre esperienze musicali, decide di creare un “porto”, un punto di attracco per tutti quegli artisti (siano essi musicisti, cantanti o esponenti delle forme d’arte più varie) che hanno la spinta e la curiosità di confrontarsi con gli altri. E’ un progetto fra teatro e musica dove Ginevra, unico elemento in movimento da una stazione all’altra, determina successioni e movimenti e favorisce incontri fra i diversi mondi musicali. Sul palco quattro stazioni, lunari, quattro stanze disegnate con legno e luce, una luce graffiata che traccia nel buio il perimetro irregolare dei luoghi contenenti gli ospiti.
Come nasce Stazioni Lunari?
E’ un progetto nato nel 2001, ma partito ufficialmente nel 2002 con Fabbrica Europa, quando mi venne chiesto di organizzare qualcosa di diverso per l’evento: doveva essere un’unica data e invece, ad oggi, abbiamo 80 date alle spalle di quello che non è un concerto ma la creazione di uno spettacolo vero e proprio, nato dalla curiosità di sperimentare un nuovo modo di fare musica, mettendo gli artisti nella condizione di confrontarsi sul palco, mischiando i loro generi e stili, dove la musica è la vera e unica protagonista.
Come si sviluppa lo spettacolo che proponete?
Lanciamo una sorta di sfida agli artisti che invitiamo a esibirsi, provenienti anche da ambiti musicali diversi, cui affidiamo una scaletta ben precisa, e sulla base di questa si improvvisa, e ciò fa sì che la forza di Stazioni Lunari stia nella differenza, perché è qui che accadono le cose vere. Alla base della performance c’è il gruppo di Ginevra di Marco, che funge da collante, e le ‘comparse’ che si trovano su quattro isole diverse del palco, si liberano del peso del loro personaggio e della loro storia, uscendo dalla logica del marketing: arrivano con la conoscenza e consapevolezza di se stessi, e se all’interno dello spettacolo riescono a lasciarsi andare e legarsi con gli altri membri, condividendo e mescolando il proprio mondo musicale con quello dell’altro, unendosi come si dice in gergo ‘a braccio’ e creando un unico grande gruppo. Tra gli artisti, c’è chi suona, chi contrappunta, chi armonizza con la voce, chi improvvisa, chi semplicemente sorride o si concentra nell’ascolto dell’altro: in sostanza, diamo loro la possibilità di fare ciò che normalmente nelle loro serate non farebbero mai. Stazioni è anche un invito all’ascolto: i nostri ‘ospiti’ prima di unirsi devono ascoltare, e solitamente chiedo loro di rimanere sul palco una volta terminata la loro esibizione.
Dai CSI cosa vi siete portati dietro tu e Ginevra?
Sicuramente l’approccio con la musica e il pubblico, ma si è cercato di deviare dal percorso dei CSI. Inizialmente, con Ginevra, si fecero due dischi che erano una fotocopia dei lavori con Giovanni Lindo Ferretti, e non andarono molto bene: cinque e passa anni con lui, ci hanno fatto capire il significato delle parole, e soprattutto le sue di parole sono state un ‘peso’ e non ce la siamo sentita di scrivere ancora. Da qui abbiamo fatto partire il nuovo percorso, andando a ricercare testi di vecchie canzoni che avessero un forte peso e un forte impatto, pescando nel vastissimo bacino della tradizione mediterranea: riarraggiando le musiche e attualizzandole, benché andando totalmente in altra direzione, siamo riusciti ad avvicinare anche il pubblico che seguiva i CSI.
Perché la scelta è caduta sulla canzone popolare?
La canzone popolare non va cantata solo perché appartiene al passato: il messaggio che manda un singolo brano deve essere importante e avere un forte peso nel momento specifico in cui si esegue, permettendo allo spettacolo di plasmarsi nel luogo in cui ci troviamo in quel preciso momento. A me personalmente la musica popolare come stile non interessa: suono il pianoforte e la tastiera, che con questo genere non c’entra niente, perché l’elemento fondamentale è l’approccio che si ha con la canzone, che è un approccio d’istinto, di cuore e di anima. Un esempio può essere ‘Malarazza’, canzone popolare siciliana che risale all’ottocento e che eseguiamo da sei anni: rispecchia pienamente i nostri tempi moderni, e avendola ripresa in mano, avendola riarrangiata, abbiamo fatto in modo di avvicinarla alle nuove generazioni.