lunedì, 18 Novembre 2024
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Recensione Film: Cose dell’altro mondo

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Fin da quando si è sentito vociferare del film di Francesco Patierno, si sono diffuse parallele polemiche accusatorie da parte della Lega. Il sindaco di Treviso, Gian Paolo Gobbo, ne ha impedito le riprese nel luogo prescelto, perciò i lavori si sono trasferiti a Bassano del Grappa, tra comparse vicentine e un noto cast di attori italiani.

Alfine il film è sbarcato alla Mostra cinematografica di Venezia, dove ha raggiunto la sezione Controcampo, ricevendo dieci minuti di applausi e giudizi discordanti da parte della critica.

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Cose dell’altro mondo affronta gli aspetti caldi dell’immigrazione, seguendo le vite intrecciate di tre personaggi. I toni da commedia sarcastico-riflessiva si mischiano ad accenti onirici quando il predicatore leghista e xenofobo Goffredo (Diego Abatantuono) invoca, in un umoristico dialetto veneto, “uno tsunami purificatore” che liberi l’Italia dagli stranieri.

La sua provocazione muta in sur-realtà poiché i “fondamentalisti islamici, (gli) zingari e i fancazzisti albanesi” scompaiono veramente, insieme ad ogni immigrato presente nel paese.

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Se l’idea non è propriamente originale (A Day Without a Mexican di Sergio Arau, 2004) la messa in scena riuscita, pone l’attenzione su una riflessione ancora necessaria.

Dopo tale assurda catastrofe culturale, la m.d.p. del regista si trova a rappresentare una nuova oggettività che rovescia i punti di vista iniziali.

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Goffredo abbandona le sue spade da fanatico e si scopre forse innamorato di quella prostituta di colore che riscaldava la sua anaffettività matrimoniale. Laura (Valentina Lodovini), maestra apparentemente emancipata, svela come il suo rapporto con il diverso non riesca a tradursi in assoluto, ma sia più figlio di uno scontro familiare; il poliziotto Ariele (Valerio Mastrandrea, sempre più malinconico e intenso) si smuove dalla sua paralisi sociale e razzista verso il “coso nero” che la donna amata porta in pancia.

L’interessante esperimento creativo di Patierno sembra dunque interessato a spogliare le ipocrisie sociali e chiarire le diffuse esigenze di una realtà dove per vivere lussuosamente è necessaria ormai una badante straniera, mentre per trovare l’amore si imboccano spesso lidi esotici.

Nonostante ciò, è palese sullo schermo una diffidenza (manifesta o latente che sia) verso un vero incontro multiculturale che emerge con la stessa prepotenza di quel toro nero abbandonato per strada , segnale di un certo disagio sociale.

Mentre i personaggi si sviluppano dunque, faccia a faccia con la loro paura del diverso, categoria che riguarda ognuno (senza salvare dall’insieme nemmeno il reparto infanzia), pare forse di poter trovare un accento positivo ascoltando diversamente le parole di Abatantuono, eccellente nella recitazione.

La metafora di una catastrofe è infatti un simbolo eloquente: la possibilità che solo uno tsunami possa spezzare quelle radici ormai costruite in Italia dagli immigrati, nostri concittadini che hanno trovato un’appartenenza nel paese.

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