lunedì, 18 Novembre 2024
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Recensione: Transformers3 Dark of the Moon

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Con lo sguardo dall’alto di J. Cameron e la produzione di S. Spielberg, Transformers3 di Micheal Bay (Armageddon, Pearl Harbor) nasce come un kolossal evoluto del 3D, ma i suoi 157 minuti risultano non del tutto necessari per un film finalizzato a colpire nell’immediato i sensi con i suoi stupefacenti effetti visivi.
Dopo il precedente capitolo nel deserto dove Megatron era riuscito a mettersi in fuga lasciando la porta aperta ad un nuovo episodio, gli Autobot guidati da Optimum Prime tornano a Chicago per sconfiggere i metamorfici e crudeli Decepticon. L’occasione per lo scontro nasce dalla Luna, luogo dove si nasconde il segreto per distruggere definitivamente i nemici di Cybertron.
Se il primo Transformers era stato interessante anche per chi non amava il genere e La vendetta del caduto aveva segnato inequivocabili crepe nella saga, il terzo capitolo risulta un film teso a evidenziare gli ultimi sviluppi della tecnologia ma che appare privo di una vera ispirazione creativa d’altro tipo.
Le prime scene dell’allunaggio mostrano sequenze epiche già viste in Apollo 13 mentre la parte centrale del film propone un Sam Witwicky perseguitato modello Peter Parker in un costante dis-equilibro tra la sua battaglia eroica-aliena e il codice del bravo fidanzato.
Protagonista tuttavia simpatico è affiancato nella sua guerra dalla vecchia conoscenza Simmons (divenuto ricco grazie alla pubblicazione di un libro sugli alieni) e dalla nuova ragazza Carlie, interpretata da Rosie Huntington-Whiteley (costretta a correre sui tacchi a spillo per tutta la battaglia finale).
E’ proprio nell’ultima ora di guerriglia cittadina tra i Robots che Mike espleta ogni meraviglia del 3D. Il piano-sequenza cui assistiamo è effettivamente stupefacente, ma il tutto accade con troppa velocità (nella sceneggiatura) e con alcune ripetizioni a livello visivo (le scene di caduta libera).
Come su un piano inclinato ci troviamo sommersi da un’invasione esplosiva di immagini che riempiono ogni possibile spazio vuoto, visivo e sonoro, ma il regista si dimentica di motivare alcune scelte narrative. Probabilmente gli improvvisi rinforzi dalla luna che arrivano fulminei sulla terra passano in secondo piano rispetto allo scenografico crollo del grattacielo di Chicago che suggerisce la visione indimenticabile dell’undici settembre, all’interno di uno sbandamento sensoriale dove il vero bombardamento in corso è tra regista e pubblico.
Soltanto Avatar aveva raggiunto questo livello di immersione e spettacolarità, soltanto Cameron aveva dominato così tanto i nostri sensi, ma anche creato un mondo realmente originale dove esisteva una sorta di incanto e in cui i nostri occhi guardavano qualcosa di nuovo dopo un lungo stato di letargo. Bay nonostante ci provi non raggiunge i suoi livelli poiché pur avendo a disposizione la luna e utilizzando ogni grandiosità della terza dimensione si sofferma a mostrare quanto è abile nell’usare i trucchi del mestiere, ma in conclusione del film la nostra immaginazione resta con i piedi ben saldi sulla terra.

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