mercoledì, 24 Aprile 2024
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”Fame e sofferenza: mio padre pesava 27 chili”

Il ricordo di Alessio Ducci, presidente della sezione Aned di Firenze e figlio di un deportato. ''Di un convoglio di 900 persone ne tornarono 70. In quelle condizioni in media si sopravviveva 8-9 mesi, mio padre ha resistito 16 mesi. E ricordava sempre la grande fame''.

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C’è chi da quel viaggio non è mai tornato, e chi, pur avendocela fatta, non l’ha più potuto dimenticare per tutta la vita. Il tragitto da Firenze a Mauthausen che domani faranno gli studenti fiorentini per il viaggio della Memoria è lo stesso che, nel marzo del ’44, percorse il convoglio composto da 900 persone, deportate dal capoluogo toscano in seguito agli scioperi. Solo 70 tornarono indietro.

LA “TOMBA DEGLI ITALIANI”. Tra loro c’era anche Alberto Ducci, padre di Alessio, attuale presidente della sezione Aned (l’associazione nazionale deli ex deportati) di Firenze. Alberto Ducci fu portato prima a Mauthausen e poi a Ebensee, tristemente conosciuta anche come “la tomba degli italiani”. È sopravvissuto 16 mesi ai campi di concentramento, prima della liberazione di Mauthausen e dei suoi sottocampi (tra cui Ebensee) avvenuta il 5 maggio 1945. “Di quell’esperienza ricordava sempre la grade fame – racconta ora il figlio – l’enorme difficoltà nel sopravvivere. A Ebensee gli italiani lavoravano nelle gallerie, in condizioni durissime: di 900 deportati ne tornarono solo 70”.

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FAME E SOFFERENZA. “Fu una grande sofferenza, soprattutto negli ultimi mesi – ricorda ancora Alessio Ducci – quando è stato liberato, mio padre pesava 27 chili, era allo stremo delle forze. Ma può essere considerato uno dei più ‘fortunati’, perché sopravvisse 16 mesi e riuscì a tornare a casa, mentre in media, in quelle condizioni, un deportato sopravviveva solo 8-9 mesi”. Condizioni dure, durissime, quelle di  Ebensee. “Quel campo è stato soprannominato ‘la tomba degli italiani’ – prosegue – quel convoglio doveva essere punito, e così è stato. Tra l’altro, gli italiani erano chiamati ‘fascisti’ dai deportati delle altre nazionalità, e considerati – e trattati come tali – traditori dai tedeschi, quindi per loro è stato difficilissimo”.

LA LIBERAZIONE E IL RICORDO. Fino al 5 maggio, giorno della liberazione di Mauthausen e dei suoi sottocampi. “Quel giorno i deportati sopravvissuti fecero un giuramento. Giurarono che avrebbero testimoniato alle generazioni successive le loro sofferenze, perché qualcosa di simile non potesse ripetersi mai più”. Ed è proprio questo l’obiettivo dei viaggi della Memoria. “È un’esperienza che rimane nei giovani – spiega Ducci – è molto forte vedere in prima persona a che punto di atrocità l’essere umano è riuscito ad arrivare nei confronti di altri esseri umani. Per usare le parole di Primo Levi, chi non ricorda il proprio passato può essere costretto a riviverlo. Insomma – conclude il presidente Aned di Firenze – è importante capire che, se non stiamo attenti, non è detto che qualcosa che è accaduto 60 anni fa non possa ripetersi”.

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