In molti hanno già scritto tanto, se non troppo, su questo ultimo lavoro di Jovanotti. Sono state spese parole sul periodo particolare che ha coinciso con la nascita di Ora ( la morte della madre), sulle molte inclinazioni dance che questo album denuncia e sulle inclinazioni politiche di Lorenzo: troppo schierato per alcuni, quasi troppo “svizzero” per altri. Scrivere dunque un qualcosa che non sia trito e ritrito appare difficile, se non impossibile: il mio è semplicemente un mettere le mani avanti.
Certo è che Jovanotti, a me “giovane” dell’80, fa da sempre simpatia perché pur non essendone una fan, collego molto del mio passato a sue hit. Non mi vergogno quindi a dire di aver cantato ai tempi La mia moto o Sono un ragazzo fortunato. Se non citiamo Vasco Rossi o Ligabue, Laura Pausini o Eros Razmazzotti, Jovanotti è l’unico capace in Italia a riempire gli stadi, a fare presa su un pubblico vastissimo e a differenza dei prima citati, a non essere troppo autoreferenziale. Riesce sempre a rischiare e anche se il suo lavoro più bello è e rimarrà L’albero targato 1997 è apprezzabile che cerchi sempre una continua evoluzione, non diventando macchietta di sé stesso.
A distanza di quattro anni da Safari, album molto suonato, Ora prende una piega se non dance, eppure Jovanotti nasce disc jockey quindi qualche influenza gli deve pur essere rimasta, perlomeno elettronica. Sicuramente è un disco pieno, con molte sfumature, con un sound che ricerca la felicità, il sorriso in tutte le sue 25 tracce nella versione Delux, che diventano 15 nella versione Basic.
Fin dalla prima canzone, Megamix, è chiaro quest’intento nel mescolare “un po’ di apocalisse e un po’ di Topolino”: suoni e melodia che si rincorrono, non cercando uno scontro, ma un’ unico intento. Vuole prenderti e trascinarti in un’altra dimensione, completamente ludica e Lorenzo ne da ampia dimostrazione proponendo due tracce dall’identico testo in Io danzo e Sulla frontiera come per creare un gioco di specchi e sviluppare nell’animo dell’ascoltare come una sensazione di deja vu. Il secondo brano dell’album è il singolo di lancio Tutto l’amore che ho dove l’alchimia sopra citata continua ad essere presente per l’equilibrio e la giusta tensione tra testo e musica. L’originalità di Lorenzo è poi riscontrabile in canzoni come Le tasche piene di sassi ( secondo voi lo fa apposta a scegliere e creare canzoni, titoli e testi pieni di S che diventano assolutamente marchi di fabbrica per la lisca Jovanottiana?) e Amami. Il romanticismo e la tenerezza quasi naif della prima fa da contraltare alla vivacità della seconda.
Secondo lo stesso Jovanotti quest’album è da ascoltare come una playlist: quindi non c’è da meravigliarsi se con pezzi puramente dance come Spingo il tempo al massimo troviamo anche ballate come L’elemento umano dove interviene l’amico Luca Carboni che recita e sussurra una sola frase: “siamo liberi”. La brevità è l’elemento comune a tutte le canzoni: l’essere concisi e non allungare il brodo insieme al divertimento sono in tutte le canzoni di Ora. Anche in quelle rock, come Il più grande Spettacolo del Big Bang dove Lorenzo prova la strada dell’ indie: si avete letto bene. Poi ne La notte dei desideri e in Un’illusione l’essere un abile paroliere ritorna prepotente anche se a volte, anche in quest’album, c’è un occhio strizzato verso le giovanissime leve: ma forse è un piccolo dazio, un peccato veniale.
Ora è album autentico, senza forzature. Potrà piacere tantissimo, come per niente, oppure solo a tratti, ma Jovanotti dimostra che è arrivato al punto dove può fare la musica che più gli piace e creare un album più che degno con una consistenza di fondo. Una volta si auto promuoveva, lo ammetto avevo la T-shirt, come “Jovanotti for president”. Secondo me ce la può fare!
Jovanotti in Concerto a Firenze
2-3 maggio
Nelson Mandela
ore 21.00