lunedì, 18 Novembre 2024
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Recensione Album Le luci della centrale elettrica “Per ora noi la chiameremo felicità”

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Recensire l’ultimo album de Le luci della centrale elettrica, non è facile. La sensazione è quella di entrare nel famoso negozio di cristalli con l’ eleganza di un elefante.

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Vasco Brondi che con Canzoni da spiaggia deturpata aveva aperto un solco nello scenario musicale indie, ha un seguito e un gruppo di fan spesso acritici nei suoi confronti.

Il Brondi – pensiero rappresenta uno specchio di una generazione e con la sua dose di giusta disperazione il cantautore ferrarese è diventato una simil icona: e questo non può che avere dei pro e dei contro. 

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Proviamo però ad essere onesti riconoscendo al giovane cantautore un talento innegabile. Se qualcuno non avesse mai ascoltato il suo primo album, Per ora noi la chiameremo felicità, parrebbe illuminante e con un senso. Di sicuro non sempre potente, a tratti quasi smielato, con molte incertezze, ma comunque con un senso. Invece è il secondo album e arriva dopo un piccolo capolavoro.

Il cantautore ha fatto propria una formula particolare, basata su canzoni-non-canzoni,  una scrittura ossessiva che dà l’impressione della goccia che ricade sulla stessa goccia  come per provocare delle reazioni a catena. La saturazione di ritmica e di testi come motivo di poetica. Nel primo album era innovazione nel secondo diventa copia e incolla se ripresa tale e quale e ha il limite di stancare. Nella resa live sicuramente meno, i suoi concerti sono praticamente degli happening, ma su disco il rischio è molto alto.

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In Per ora noi la chiameremo felicità Brondi scrive per i suoi fans. Non per allargare il cerchio dei suoi estimatori o per far cambiare idea ai detrattori. Alcuni pezzi come ne I nostri corpi celesti e Cara catastrofe mostrano l’intenzionalità ad un cambiamento verso un dire nuove cose. I brani sono anche più strutturati come L’amore ai  tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici giocata su una musica stratificata grazie Giorgio Canali, Stefano Pilia, Rodrigo D’Erasmo e Enrico Gabrielli. Il cantato a volte riesce ad essere più sciolto come Quando tornerai dall’estero e più areato in Le Petroliere. Anidride carbonica, pur essendo brondiana nel suo essere affannata e concitata, riesce a superare l’auto-parodia sublimandola. Eppure… Eppure ti aspetteresti altro.

Intendiamoci: questo album non è di basso livello e rispetto alla musica che ne fa da padrona nella scena musicale italiana, è comunque di un’altra categoria. Il problema è essere riusciti nel primo album ad essere comunicatore dell’estremo malessere e nel secondo quasi scimmiottare quanto già fatto. Il dolore e la rabbia non hanno bisogno di essere ripetuti nello stesso modo per essere capiti: anzi riproponendoli nella stessa chiave si corre il rischio di cristallizzarli e quasi naturalizzarli. 

La forza de Le luci della centrale elettrica  sta, stava?, nel dire la verità senza scorciatoie e giri di parole, dato che la verità non sta nel mezzo. Ma è la continuità senza una maturità, che da lui ci si aspettava, che ci costringe a dire che questo album è come un vicolo cieco. Le case con le scritte sui muri o inagibili che rendono il cantautore riconoscibile, sono dei monoliti immobili che lo danneggiano e che non fanno intravedere una rielaborazione.  

Le luci della centrale elettrica in concerto A Firenze

9 Aprile

Viper Theatre

ore 21,30

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