lunedì, 18 Novembre 2024
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Recensione Album: Lenny Kravitz Black and White America

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Il titolo dell’album Black and White America è figlio del discorso pronunciato da Barack Obama prima delle sue elezioni.
Lenny Kravitz del resto è un musicista afro-americano che quando non assume pose o indossa gli occhiali da divo è ben felice di sostenere parti in difesa della sua comunità.
Lo abbiamo visto in Precious quando nel quartiere di Harlem, interpreta il ruolo dell’infermiere John, sostenendo quell’America black già omaggiata nel tributo a Curtis Mayfield.   
Scritto alle Bahamas e registrato in parte a Parigi, quest’ultimo (nono) disco riassume in un unico concetto entrambe le sue anime, le stesse di una nazione eterogenea che continua a sognare di essere unita.  
Chi si immagina dunque di trovare un album composto da un’unità tematica che non sia il contrasto rimarrà deluso. In questo gioco di opposizioni i pezzi incastonati tra loro tuttavia non suonano ordinari, o per lo meno non la maggior parte di essi, anche se appaiono più buoni che indimenticabili.
La sua musica forse crescerebbe in direzione di una maggior intensità se Lenny optasse per una personale definizione, ma arrivato a questo punto della carriera, sembra profilarsi il dubbio che la sua tendenza creativa sia la risposta ad una continua contaminazione di rock, funk, soul, pop: generi che attraversa con disinvoltura e interpreta in maniera contemporanea.
La title track annuncia un’atmosfera soul: morbidi fiati, voci in sottofondo, un’invitante soluzione vintage che contrasta con il successivo ed energico pezzo rock dove ritroviamo gli abituali giri di chitarra che fissano Come on get it nella colonna sonora dell’attuale spot del NBA.
La buona partenza tuttavia sfugge presto toccando le note più amare nelle tre ballate del disco (Dream, The faith of child, I cant’be whitout you), brani che sembrano scritti quasi per dovere e non aggiungono molto in termini qualitativi.
A vivacizzare l’album accorrono l’auto-celebrativa Rock Star City e l’originale battito scandito di Boongie Drop. Probabilmente il pezzo più intrigante della composizione è Looking back on love, dove un lungo intervallo di fiati spezza la voce del cantante, seguito dai ritmi sincopati e funky di Life ain’t ever been better. Black and White America torna a rievocare l’ambiente soul nel finale con Push, ma non prima di aver attraversato l’epoca anni settanta, rivisitata nel piacevole Superlove e nel divertente video Stand, primo singolo dell’album dove l’artista (in versione camuffata) si traveste da presentatore di uno show televisivo.
In questo grande mucchio di tracce (ben sedici) l’autore tuttavia non sembra disperdersi o muoversi a stento e nonostante alcuni pezzi siano insoddisfacenti, resta chiara l’autenticità del progetto risolto a rintracciare le radici musicali e le influenze odierne della sua nazione per rivelare se stesso.
Da Settembre è previsto il tour mondiale che in autunno toccherà l’Italia (20 Novembre a Treviso, 21 Novembre a Milano): possibilità per comprendere se Kravitz riuscirà a trasportare la sua America multiculturale nel nostro continente.

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