Campioni di tostatura, ma anche di assaggio, ospitalità e persino di latte art, ossia la capacità di trasformare caffè o cappuccini in opere di design, unendo il bello al buono. A sei anni dall’apertura della prima sede a Firenze, in via de’ Neri, seguita nel 2016 da quella in via dello Sprone, Ditta Artigianale non è più solo una caffetteria, è fucina e laboratorio di alcuni dei talenti del caffè più premiati al mondo.
Michele Anedotti, capo tostatura che abbiamo intervistato qui, è in buona compagnia: dietro al bancone, a preparare il caffè insieme a lui con chicchi scelti da piccoli produttori in giro per il mondo e tostati in casa, ci sono ad esempio Francesco Sanapo, miglior assaggiatore italiano di caffè, Francesco Masciullo, medaglia di bronzo al campionato italiano Baristi Caffetteria ed Eva Palma, tra le prima cinque in Italia nella specialità “latte art”. Ai titoli individuali si aggiungono quelli di squadra, che rendono Ditta Artigianale la migliore caffetteria d’Italia, candidata al titolo di migliore torrefazione al mondo. La formazione, non la fortuna, è il punto di partenza.
Una storia d’amore per il caffè
Come spiega Sanapo, tra i fondatori di Ditta Artigianale, “fare il caffè è un’arte e non si improvvisa”. Dietro ci sono studio e un lungo percorso che parte dal paese di origine di un chicco e arriva dritto in tazzina. Non è un caso che Sanapo trascorra sei mesi l’anno tra l’Africa e il Sudamerica durante la stagione del raccolto. Per lui la passione per il caffè è nata “lavando tazzine” una ventina di anni fa, quando da giovane pugliese fuori sede è approdato a Firenze. “Ma l’amore vero – racconta – è scoppiato con lo studio”, quando il mestiere di barista si è affiancato alla formazione e al compito di preparare nuove generazioni di “coffee lovers”.
Il futuro di Ditta Artigianale a Firenze
“Come Ditta Artigianale – dice Sanapo – già oggi teniamo corsi su tostatura e assaggio e a breve vorremmo aprire un centro di formazione per l’hospitality. Tanti ragazzi vengono da noi per imparare, poi magari diventano competitor ma siamo felici, è il nostro contributo allo sviluppo della caffetteria”. Certo, c’è da lavorare anche su chi sta dall’altra parte del bancone, istruire all’amore per il caffè una clientela “che spesso beve un espresso come fosse una medicina, senza gustarlo davvero, senza la curiosità di sentire la consistenza e la complessità aromatica che c’è in una tazza”. Una piccola grande rivoluzione pronta a partire da Firenze.