E pensare che le caratteristiche sarebbero (quasi) perfette. “Firenze è una città che, strutturalmente, si presta tantissimo alla mobilità sostenibile”. A dirlo è il professor Francesco Alberti, docente di Urbanistica all’Università di Firenze, tra i massimi esperti di progettazione dei servizi della mobilità. Il Reporter lo ha intervistato.
Perché Firenze sarebbe la città giusta per la mobilità sostenibile?
Perché ha dimensioni contenute e spostamenti medi piuttosto ridotti. Già a livello europeo si calcola che il 50% degli spostamenti quotidiani è inferiore ai 5 chilometri. Un raggio che si può assolutamente coprire con modalità alternative all’automobile. A Malmö, in Svezia, una città che ha dimensioni simili a quelle di Firenze, per anni si è combattuta con successo una battaglia culturale all’insegna dello slogan Inga löjliga bilresor, basta con gli spostamenti in auto ridicoli, classificando come tali tutti quelli al di sotto dei 5 chilometri.
Essere predisposti, però, non basta.
Bisogna lavorare affinché gli spazi siano organizzati in modo da favorire l’uso di mezzi alternativi. Io mi muovo in bicicletta e francamente non trovo che Firenze nel suo insieme sia una città così amichevole per il ciclista. Non è una critica assoluta, ci sono anzi molte piste ciclabili in più rispetto ad altre realtà italiane. Manca però la garanzia di continuità, sicurezza e qualità dei percorsi. Se io so che sul mio tragitto c’è un attraversamento difficile o un tratto pericoloso, anche se il 90% del percorso è buono basta quel 10% per scoraggiarti dal cambiare mezzo.
Deve essere la pianificazione del territorio, e dunque anche la politica, a guidare la transizione?
Assolutamente sì. Io mi occupo di mobilità da urbanista e nella mia disciplina, così come ormai in molti atti di indirizzo europeo, è un fatto consolidato: il modo in cui sono organizzate le città e il dove sono localizzate le funzioni è fondamentale. Il primo passo verso una mobilità sostenibile è quello di azzerare gli spostamenti obbligati che si è costretti a fare perché i servizi urbani sono collocati male rispetto a dove stanno le persone. Se ci sono delle aree urbane sguarnite di servizi primari, questo obbliga a spostarsi per qualsiasi necessità. È un tema tornato d’attualità con il Covid, quello del decentramento, della “città in 15 minuti”. Dovremmo approfittare di questa situazione. La digitalizzazione forzata di molti servizi che abbiamo visto negli ultimi mesi aiuterà a ridurre la necessità di spostarsi. E di farlo usando l’automobile.
La pandemia ha aumentato la diffidenza per il trasporto pubblico. Pensa che abbia frenato il passaggio verso la mobilità sostenibile anche a Firenze?
Il trasporto pubblico oggi è l’elemento più a rischio perché è percepito, comprensibilmente, come un fattore di estremo rischio. Attenzione però: micromobilità non vuol dire spostarsi di 10 metri. Se la maggior parte degli spostamenti è inferiore ai 5 chilometri e addirittura il 30% è sotto ai 3, già creare le condizioni perché questa quota sia effettuata a piedi, in bicicletta o con i nuovi mezzi elettrici sarebbe una rivoluzione. Si libererebbe una quantità di spazio enorme. Ma bisogna rendere le città percorribili, mettere in rete gli spazi pubblici. Avere un percorso che attraversa un parco è molto meglio che una pista ciclabile a lato di uno stradone trafficato. Si deve creare un nuovo layer in cui ci si può muovere liberamente, è un ragionamento di riqualificazione complessiva della città. Poi c’è un altro aspetto importante messo in luce dalla pandemia.
Quale?
Qual è l’elemento che mette in crisi il trasporto pubblico? La concentrazione di persone in spazi limitati. Le ore di punta, insomma. Allora oltre che gli spazi si dovranno pianificare i tempi della città. Le scuole sono rimaste chiuse per tutti questi mesi perché non si è stati capaci di riorganizzare i tempi del trasporto. Questo ci deve pure insegnare qualcosa. Che senso ha che tutto cominci esattamente alla stessa ora? Una quota parte del lavoro di ufficio, anche in prospettiva, continuerà a distanza. Già questo potrebbe ridurre la domanda di mobilità per motivi di lavoro del 15-20% ogni giorno. Se in più riusciamo a distribuire le attività nell’arco della giornata, abbiamo risolto il problema delle ore di punta. E anche il trasporto pubblico non sarà più così preoccupante.
Ancora oggi la scelta della tramvia non convince tutti. Lei che ne pensa?
Prima che arrivasse la pandemia il sistema tramviario stava ottenendo notevoli risultati. È vero, c’è chi sostiene che il mezzo sia superato, ma in realtà sono tante le città che investono ancora in tramvia. È anche giusto che una città continui a puntare sul mezzo che ha già in funzione per creare una rete, non si può mica cambiare ogni 10 anni la tipologia di trasporto pubblico. Semmai, secondo me, non tutte le linee in programmazione hanno lo stesso livello di strategicità. Convince poco l’idea di una linea verso Campi Bisenzio che non passa per l’Osmannoro. Non mi pare che sia la soluzione più adatta. Ma su questo ci sono scuole di pensiero e valutazioni costi- benefici diverse.
Firenze e mobilità sostenibile. Gli incentivi pubblici per il ricambio del parco mezzi funzionano?
Dipende dagli incentivi. L’incentivo per comprare una nuova auto non mi sembra una grande pensata. È vero che si sostituisce una macchina con delle prestazioni ambientali pessime con una con prestazioni ambientali molto migliori. Però noi abbiamo proprio il problema di un numero eccessivo di automobili rispetto alla popolazione. L’obiettivo non deve essere quello del cambio alla pari, dobbiamo puntare a ridurre il numero complessivo delle automobili. Lo capisco, è un’operazione che paga, anche dal punto di vista del consenso, chi ha un vecchio diesel è ben contento se riceve un aiuto per cambiarlo. Quanto meno, gli incentivi del Comune di Firenze non avrebbero dovuto riguardare le automobili a benzina. C’è un obiettivo europeo al 2030 che ci chiede di avere almeno metà dei mezzi circolanti nelle città con una motorizzazione diversa dalla benzina. Ovviamente le auto che compriamo oggi dureranno altri dieci anni, così nel 2030 avremo ancora in circolazione auto a benzina che per quel tempo saranno già obsolete. Se non altro questo l’avrei assolutamente evitato.
Quello del trasporto a emissioni zero resterà un mito?
Dipende dal modo in cui viene prodotta l’energia con la quale si alimentano i sistemi elettrici. Ma questo è l’ultimo elemento. Il principio della mobilità sostenibile si basa su tre obiettivi fondamentali, riassunti nella formula avoid, shift, improve. Eliminare gli spostamenti non necessari. Spostare quelli che si devono comunque effettuare dal mezzo privato ai mezzi sostenibili, anche privati. Infine, migliorare le prestazioni. Ma è l’ultimo livello. Prima di tutto bisogna puntare a ridurre gli spostamenti. Attenzione, non intendo la mobilità come espressione di libertà, ma come espressione di dipendenza. Muoversi non è oggi negli anni Cinquanta, con la Lambretta e le Vacanze romane.
Ci dobbiamo muovere molto, anche quando potrebbe non servire. Oggi muoversi è più spesso una condanna che una libertà. Una volta ridotta questa schiavitù della mobilità potremo passare a una transizione verso veicoli con prestazioni ambientali migliori. Quanto al migliorare le prestazioni, se riuscissimo ad avere batterie che funzionano partendo dal solare è chiaro che l’impatto sarebbe differente. La ricerca va avanti, ci sono programmi per il trasporto all’idrogeno e si spera che molto velocemente si arrivi a delle alternative anche all’elettrico. Abbiamo davanti un ventennio di grandi sperimentazioni: dobbiamo puntare su tutte le alternative possibili al combustibile tradizionale.