Questa storia non è solo sacra e profana, ma è un vissuto che s’intreccia fra scandalo e ammirazione. Si tratta di una fiorentina dal nome Villana (1332-1360), figlia del ricco mercante messer Lapo de' Botti, bella e procace che di “villana” aveva soltanto il nome, essendo essa gentile, educata e molto garbata. Fin da bambina, con la sua ardente fede, fu attratta dalla vita religiosa senza pur tuttavia approdarvi, in quanto i ricchi genitori la obbligarono a sposarsi. Era il periodo terribile della peste nera del 1348, che sterminò quasi centomila fiorentini.
Passata questa grande paura, per reazione allo scampato pericolo, molti sopravvissuti si abbandonarono ai piaceri ed alle frivolezze, ovviamente in base alle proprie possibilità economiche. Giovanissima pervenne a nozze nel 1351 con Rosso di Pietro Benintendi di famiglia benestante al quale, per le sue spiccate capacità seduttive, lo sfavillante sguardo per una segreta corrispondenza e l’intensa passionalità, procurò ben presto diversi grattacapi, conducendo una vita sfrenata e licenziosa ai margini del consentito. Le sue grazie ed i comportamenti, non proprio irreprensibili, diedero origine inevitabilmente a disavventure coniugali. La compiacente Villana era una delle donne più desiderate di Firenze; sbocciata come un fiore raggiunto dai raggi del sole, capace, con la forza del suo sguardo, di suonare il pentagramma dell’amore in tutte le sue tonalità, aveva la decisa sicurezza di una serenità emotiva racchiusa nel suo animo. Il volto candido come un giglio e fresco come una rosa.
Amava ed era abbondantemente contraccambiata; piena di spirito futile e vanitosamente ambiziosa, nell’esplodere incontrollato delle passioni, cadeva nelle insidie delle superficiali soddisfazioni in un equilibrio di moglie sempre più precario e minacciato, dove la virtù, per dirlo in estrema sintesi, rischiava costantemente di slittare verso il vizio. Una mattina nel farsi con accuratezza il solito maquillage per apparire ancora più bella e desiderabile, Villana si guardò con civetteria, come sempre, allo specchio e con spavento, anziché vedere le sue avvenenti fattezze, vide riflesso l'orrido volto del demonio. Gettata via quella superficie riflettente, si precipitò a guardarsi in altri specchi ma sempre col medesimo risultato: il diavolo era lì che le sogghignava dappertutto. Infatti, come lo attesta anche il proverbio: Il diavolo non istà sempre in un luogo. Presa dal pentimento ed umiliata, si strappò di dosso gli eleganti abiti, andò a confessarsi nella basilica di Santa Maria Novella decidendo di rinunciare alla vita mondana per abbracciare quella spirituale.
Dopo aver venduto tutti i suoi beni, si fece terziaria dell'Ordine di San Domenico. Da quel momento si votò alla penitenza, dedicandosi con rettitudine e bontà a far beneficenza e riuscendo perfino a convertire il padre, il marito e diverse meretrici. La giovane donna, morì a soli 28 anni il 29 gennaio 1360, in profumo di santità, tanto da essere poi beatificata da Leone XII il 27 marzo 1824. La sua tomba marmorea, o meglio lo splendido monumento funebre che la vede giacente sotto un drappeggio sorretto da angeli, si può vedere entrando nella basilica di Santa Maria Novella, a destra, quale pregevole opera eseguita nel 1451 dal famoso scultore ed architetto Bernardo Rossellino, uno dei più rappresentativi artisti del Quattrocento fiorentino.