martedì, 5 Novembre 2024
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Le ingombranti Fonticine (Via Nazionale a fronte di via dell’Ariento)

La monumentale edicola robbiana in terracotta invetriata policroma, del leggiadro ed ornato tabernacolo che si slancia sopra una vasca nella quale gettano acqua sette piccole "fontanelle", fu voluta dalla Potenza Festeggiante del Reame di Biliemme, la quale aveva sede al vicino Canto alla Cella di Ciardo, cioè fra via Sant’Antonino e via dell’Ariento.

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La monumentale edicola robbiana in terracotta invetriata policroma, del leggiadro ed ornato tabernacolo che si slancia sopra una vasca nella quale gettano acqua sette piccole “fontanelle”, fu voluta dalla Potenza Festeggiante del Reame di Biliemme, la quale aveva sede al vicino Canto alla Cella di Ciardo, cioè fra via Sant’Antonino e via dell’Ariento. Tale organizzazione popolare faceva parte delle rionali “Potenze Festeggianti” in quanto, istituzionalmente, queste associazioni avevano il compito di organizzare, specialmente nei loro rispettivi rioni, spettacoli, gare, giochi di bandiera, sassaiole ed ogni altro tipo di festa, per cui erano dette, appunto, “festeggianti”.

A questi divertimenti, che si definirono “l’armeggiar delle Potenze”, partecipava attivamente soltanto il popolo minuto, mentre le classi borghesi e nobili si limitavano a contribuire finanziariamente, rimanendo sempre dalla parte degli spettatori. Le Potenze, popolari, allegre, vivaci, irrequiete e tumultuose, oltre a cimentarsi nel gioco delle bandiere, combattere con armi finte, fare a “sassi”, organizzare cene e banchetti, si prodigavano anche in opere di beneficenza e di religione andando “ad offerta” in certi santuari come quello della Madonna del Sasso (Santa Brigida) dove, per devozione o penitenza, le festose combriccole arrivavano a piedi, a cavallo o su muli. Le compagnie si occuparono in qualche modo anche di arte; come, ad esempio, quella appunto del “Regno di Biliemme” che, come già detto, fece fare nel 1522 alla bottega dei Della Robbia questo bellissimo tabernacolo a fontana, dalla base in pietra serena, con vasca di marmo sostenuta da tre mensole inginocchiate a zampe di leone.

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Nel grande bacile rettangolare versano continuamente acqua sette cannelline che fuoriescono dalla bocca di altrettante teste di cherubini, pure marmoree, che hanno dato proprio per questo il nome “delle fonticine” al più grande e famoso dei tabernacoli fiorentini, da considerarsi pure una fontana a tutti gli effetti, ora, purtroppo, malridotto dalle ingiurie del tempo e degli uomini. Ma quando fu costruito il tabernacolo era perfettamente così come oggi lo vediamo? Proprio no. Infatti, da documenti dell’Archivio Storico del Comune di Firenze (ASCFi 268, c.488), abbiamo appreso che quando fu eretta, l’artistica costruzione non si trovava come ora addossata alla parete retrostante, ma la sua struttura avanzava verso il centro strada, ed era affiancata da due “fonticine” ai lati, in ognuna delle quali gettavano acqua nei rispettivi bacili quattro cannelline fuoriuscenti da altrettante faccine di cherubini.

Nell’anno 1849, a seguito di numerose istanze di “proprietari e abitanti delle contrade adiacenti a Via Tedesca (dal 1870 via Nazionale per l’affermazione d’italianità in contrapposizione al precedente nome di “via Tedesca”) che lamentano inondazioni delle stanze terrene delle loro case quando un’affluenza istantanea di acque di pioggia si dirige alla fogna sotto il Tabernacolo detto dell’Assunta e che attribuiscono l’inconveniente principalmente “all’abboccatura di quel canale sotterraneo ed all’imperfezione del meccanismo della valvola di legno, per cui i reclamanti suggeriscono di provvedere ai danni con togliere gran parte del Tabernacolo e trasportarne la facciata sul muro a tergo del medesimo, raggiungendo così il doppio oggetto di allargare la strada, e meglio sistemare lo smaltimento delle acque pluviali, segue una perizia tecnica dell’ingegnere Flaminio Chiesi del Circondario, che suggerisce gli interventi del caso, riassumendoli nell’arretramento del tabernacolo definito addirittura “dannoso ingombro”, “spingendolo verso il fabbricato”, cioè sul muro della facciata dell’immobile retrostante pur “senza privare il pubblico di quell’antico Santuario”, nell’eliminazione delle due deliziose fontanelle laterali e nell’inclinazione del lastrico stradale con pendenza favorevole verso la fogna delle acque piovane e di quelle di scarico della vasca del tabernacolo. Per la difficoltà del momento delle casse comunali a poter far fronte alle spese occorrenti valutate in £ 1.694,52 venivano assegnati i lavori a due accollatari, “i quali s’incaricano di eseguire subito i lavori relativi alla trasposizione del Tabernacolo, stando alla perizia Chiesi, ed obbligandosi a ricevere il pagamento nella prima metà del prossimo anno 1850”. Così, dopo oltre tre secoli di “dannoso ingombro” il tabernacolo dell’Assunta fu smontato, arretrato e privato delle due fonticine laterali, le quali furono tagliate e riposizionate alla base del tabernacolo. Per tale intervento fu necessaria anche la costruzione della parte centrale della vasca con la soprastante cannellina ed un terzo piede d’appoggio.

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La nuova vasca formata da tre pezzi, con sette fontanelle, fu posta frontalmente sotto la grande edicola con la terracotta invetriata policroma dei Della Robbia alla cui base, fra altre iscrizioni, si legge: QUESTO DEVOTO TABERNACOLO ANO FATTO FARE GLI OMINI DEL REAME DI BELIEME POSTO IN VIA SANCTA CHATERINA MDXXII. Da notare che prima del 1870 quel tratto di via Nazionale compreso fra via Guelfa e via dell’Ariento si chiamava via Santa Caterina. Adesso il tabernacolo delle Fonticine è in stato di assoluto abbandono: tubi metallici impediscono la caduta di frammenti della volta ma anche la veduta dell’artistico bassorilievo; strati di borraccina rendono il marmo del bacile irriconoscibile e l’acqua delle fontanelle malamente fuoriesce dalle cannelline. Spettacolo di bruttura e di vergogna che dovrebbe essere, invece, argomento di bellezza, decoro e testimonianza dell’arte e della fede fiorentina.

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