Il futuro e la strada per arrivarci
Nel suo fortunato saggio Connectography del 2016, il politologo indo-americano Parag Khanna supponeva che la geografia politica, così come l’abbiamo imparata a scuola, non fosse più sufficiente a spiegare un mondo che oggi compete sulle grandi connessioni più che sui confini nazionali. Autostrade, ferrovie, pipeline, cablaggi per internet e network virtuali disegnano mappe in cui i contorni degli stati sono sempre più sbiaditi.
Non è il territorio il campo di gara del grande gioco geopolitico, ma la connettività. E allora la “connettografia” si rivelerà scienza più buona a dare lettura del nostro tempo, perché a vincere, diceva Khanna, saranno i poteri e le persone meglio connessi.
Guardiamo ora a casa nostra. Alta velocità, aeroporto, tramvia, terza corsia dell’A1. Sulle grandi infrastrutture di collegamento c’è chi sostiene una soluzione e chi ne promuove una diversa, ognuno con argomenti sensati, progetti approvati e alternative già pronte. Poi quando si tratta di decidere sembra che l’unica cosa che conta sia sostenere il contrario del proprio avversario politico: dico di sì perché tu sostieni il no, blocco il finanziamento perché il tuo simbolo non è uguale al mio, troveremo un’altra soluzione perché questa l’avete chiesta voi.
Firenze è specchio di un paese in cui ogni volta che si parla di infrastrutture va a finire che si prova ma non si parte, si parte senza aver chiaro dove andare, si rimane incagliati e si torna daccapo. Senza uno sforzo comune che dia certezze e visione ai territori c’è il rischio di veder scappare un mondo che intanto corre a un passo così svelto. Partire in ritardo non significa solo trovarsi in svantaggio: significa mostrare scarsa iniziativa e mancanza di leadership. Non giova alla città, non aiuta l’ambiente, non crea lavoro e sviluppo. Progressisti o conservatori non c’entra, l’immobilismo è una terza via impraticabile.
Andrea Tani
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