lunedì, 4 Novembre 2024
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“Contro il rischio serve più consapevolezza”: intervista al professor Castelli

Il professor Castelli: “Un’alluvione come nel ’66? Oggi è meno probabile, ma la città è più vulnerabile di allora”

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Il professor Fabio Castelli insegna Idrologia e costruzioni idrauliche all’Università di Firenze. È uno dei massimi esperti di alluvioni dell’Arno, autore di numerose pubblicazioni sul tema della prevenzione del rischio idraulico.

Professor Castelli, qual è il rischio che Firenze corre oggi rispetto al 1966?

Quando si parla di rischio bisogna sempre distinguere l’aspetto della pericolosità, cioè la probabilità che un’alluvione avvenga, da quello della vulnerabilità, cioè il danno che l’alluvione potrebbe fare. Sulla pericolosità le cose sono migliorate, in parte già grazie agli interventi sui ponti fatti subito dopo l’alluvione del ’66 e poi, soprattutto, con i lavori attualmente in corso per le casse d’espansione nella zona di Figline. Dunque la probabilità che possa avvenire un’alluvione come quella è diminuita.

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Ma se dovesse succedere, Firenze è ancora vulnerabile?

Non solo: le cose sono peggiorate. Nelle zone alluvionate nel ‘66, quelle immediatamente a valle di Firenze, l’urbanizzazione era limitata. Il valore di ciò che oggi è esposto al rischio è aumentato tantissimo. C’è poi il rischio per le persone, e anche lì siamo messi un po’ peggio. Faccio un esempio: si fa un uso poco controllato degli scantinati nel centro di Firenze. Ufficialmente sono tutti venduti o adibiti a magazzini. Ma abbiamo la certezza che non vengano utilizzati come abitazioni temporanee? Pensiamo poi ai turisti, che allora non c’erano e che non conoscono bene la problematica. C’è molto da migliorare, soprattutto in termini di consapevolezza da parte dei cittadini.

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I piani di prevenzione funzionano?

Il principio è lo stesso: laddove si sa con certezza cosa è esposto al rischio, si riescono a mettere in campo strategie di intervento efficaci. Penso ad esempio ai programmi specifici per la messa in sicurezza delle opere d’arte: Comune e Protezione civile stanno lavorando molto bene.

Su cosa si deve ancora investire?

Sull’educazione e sulla consapevolezza. Le opere idrauliche diminuiscono la pericolosità in modo significativo ma non saranno mai totalmente risolutive. L’obiettivo dev’essere quello di raggiungere un livello di sicurezza tale per cui il rischio residuo, che comunque rimarrà, possa essere correttamente gestito dalla Protezione civile con i sistemi di allertamento. Probabilmente molti cittadini di Firenze non si rendono ancora pienamente conto di quanto la loro abitazione sia esposta.

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Costruire un nuovo rapporto con l’Arno potrebbe essere d’aiuto?

Sicuramente è auspicabile, anche per maturare la consapevolezza di cos’è un fiume. Il problema della fruibilità dell’Arno è la sua discontinuità nella zona centrale, dal Ponte alle Grazie fino al Ponte Vespucci, dove abbiamo un restringimento artificiale dell’alveo che non permette di avere quelle passerelle pedonali che si possono invece realizzare alle Cascine o nelle zone a monte. Il progetto Rogers prevede una serie di corridoi mobili al livello dell’acqua, per la verità abbastanza complicati da realizzare. Ma come le esperienze di altre città ci insegnano, avvicinare il cittadino al fiume fa bene a una comunità. Più un ambiente viene vissuto, più lo si conosce e più può essere protetto e salvaguardato.

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