mercoledì, 11 Dicembre 2024
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Bar, sfida a colpi di caffè

I ricarichi degli esercenti su bevande e alimenti sono anche del 600 per cento, ma tra spese di affitto e gestione agli esercenti resta il 20 per cento dell’incasso, tasse escluse. Ristoranti e bar della periferia dicono la loro sul “caro-bancone”. E in parecchi hanno voglia di chiudere bottega.

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“I rincari non sono colpa nostra”

I loro prezzi sono sempre “unici”. Addirittura gli stessi da quattro o cinque anni. Sono altri ristoranti, i loro diretti concorrenti, a fare gli aumenti e a dar vita al caro prezzi. E poi se proprio c’è da chiamare in causa le impennate: i primi a risentirne sono ancora loro. A parlare da interrogati sui rincari sono i ristoranti e bar fuori dal centro storico.

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Che tirano fuori la lunga lista di voci fisse da pagare nel loro bilancio: “Non è più come un tempo”.Cosa è cambiato? Si diceva, almeno vent’anni fa, che bastava “farsi” dieci anni di bar o ristorante per arricchirsi e comprar casa. Tanta la fatica, lauta la ricompensa. Qualcosa è cambiato da allora. “Riesci a guadagnare uno stipendio normale -racconta Manuela, proprietaria di un bar in viale Corsica- non si diventa di certo ricchi”. Lei lavora 12 ore al giorno (“non mi pesa perché mi piace”) e tirando le fila a fine mese arriva “a uno stipendio medio” (1000 euro?, annuisce, anche se è forse un po’ di più). È un’attività quella che ha da gestire. Dipendenti, due, tutte donne. Poi ci sono i fornitori: “Ho sempre pagato dieci litri di latte 10 euro, ora invece gli stessi litri costano 13,80 euro”. Le utenze da pagare (soltanto la bolletta Enel è in media 900 euro), le quattro insegne (600 euro l’anno). E dulcis in fundo l’affitto: 1250 euro (negoziate perché sarebbero dovute essere 1900). Ma la croce di Manuela sembra essere la macchinetta del Superenalotto: “Il noleggio viene 200 euro al mese, li spenderei anche volentieri, se almeno la macchina funzionasse. Sono mesi che aspetto che venga un tecnico, ora ho deciso di passare alle vie legali”.

I mesi estivi, tutti gli esercenti concordano, sono stati neri. “C’è stato un notevole calo della clientela. Probabilmente perché gli stipendi restano bassi e si fatica ad andare a mangiare fuori”, spiega il proprietario di un ristorante in via Pisana. “E noi ovviamente-continua- ne abbiamo risentito molto: di almeno il 30 per cento in meno di guadagni. Ma ho degli amici ristoratori che stanno nella zona e mi hanno raccontato addirittura di un dimezzamento rispetto allo scorso”. Le materie prime incidono nel prezzo al ristorante del 33 per cento circa. Negli ultimi mesi, ad essere stati ritoccati al rialzo sono in particolare i prezzi della farina, dei pelati, e delle mozzarelle. Insomma, gli ingredienti per una sana pizza.

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Eppure c’è chi parla semplicemente di scelta: “Noi siamo una delle poche pizzerie in cui con 12 euro una persona riesce a mangiare e bere -dice il proprietario, il luogo da sogno è invece in via Rocca Tedalda -. È la nostra politica, che non è sicuramente condivisa da tutti i ristoratori”. Ma allora si possono mettere prezzi più bassi… e voi riuscite a guadagnarci lo stesso? “Noi ci si rientra bene, e si sta bene tutti, anche i dipendenti”. Non sempre va così bene: “Avevo un’attività di pasticceria -ricorda un ex proprietario-, con 12 dipendenti. Ciò significa: contributi, tasse. Ma anche spese come 6 mila euro di affitto. E guadagni che vanno di cappuccino in brioche. Ho pagato tutti i miei debiti e nel momento in cui ho iniziato a respirare ho ceduto l’attività“.

Il lavoro è faticoso. “Rimango qua dentro 15 ore al giorno -dice da là dentro il proprietario di un ristorante in via Ponte alle Mosse-. A volte ti chiedi: per che cosa? Un tempo ne valeva la pena”. Mari, come tutti la chiamano entrando nel suo bar in via Masaccio, dopo 20 anni di bar a Peretola (106 metri quadri) aveva detto non ne vale più la pena. Poi sono trascorsi due anni: “Che ci facciamo a casa io e mio marito”. E allora hanno ricominciato da un altro bar. Entra una signora: “Allora alla fine ci sono andata ieri sera”, “Davvero! racconta”, risponde Mari. Forse è anche questo il bello del mestiere.

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Ecco perché al bar si spende così tanto

Una colazione in centro? Intorno ai 2 euro e venti. Ma limitatevi al cappuccino e alla brioche, perché se il vostro stomaco reclama qualcosa di più sostanzioso e optate per una spremuta o un panino si sfiorano i 5 euro. Ovviamente in piedi, perché al tavolo i prezzi si triplicano. E non va meglio a cena. Difficile trovare un ristorante in centro dove si riesca a mangiare spendendo meno di 25 euro. Prezzi proibitivi per i (molti) fiorentini impegnati a far quadrare il bilancio familiare, più accessibili per i turisti, non necessariamente perché più ricchi, ma perché in vacanza si è più propensi a spendere. A trarre profitto da questa corsa al rialzo, secondo l’opinione comune, sono gli esercenti dei locali situati negli angoli più turistici della città.

Ma la realtà è diversa. Almeno secondo i proprietari di bar e ristoranti del centro storico. Per loro vale l’adagio popolare secondo cui non è tutto oro ciò che luccica. Prendiamo ad esempio uno dei simboli dell’italianità, il caffè. Circa sette grammi di miscela e acqua calda. Circa 15 centesimi di materia prima per un prezzo al pubblico di 90 centesimi. Un ricarico del 600 %. «Ma in questo calcolo non si tiene i considerazione tutti i costi che dobbiamo sostenere», è il coro ad una sola voce dei baristi fiorentini. L’affitto, le bollette, gli stipendi del personale, la manutenzione dei macchinari, i rincari delle materie prime: sono queste le uscite che vanno più ad incidere sul prezzo del prodotto finale. Spese non indifferenti, se si pensa che solo per la locazione di un fondo commerciale di media grandezza si superano i 5 mila euro al mese. Senza contare il suolo pubblico nel caso in cui si voglia dotare il locale di tavolini all’aperto: la tariffa è di oltre un euro al metro quadro al giorno. All’affitto, che da solo incide dal 6 al 10% sul fatturato, vanno ad aggiungersi altri piccoli e grandi balzelli: dalla revisione degli estintori alla verifica annuale del registratore di cassa, dai costi di vuotatura dei pozzi neri all’autocertificazione sanitaria.

A conti fatti quel che resta nelle tasche dell’esercente dovrebbe aggirarsi intorno al 20% dell’incasso. Tasse escluse. Si dirà che Firenze è città dalla spiccata vocazione turistica con un notevole giro d’affari, «ma – affermano unanimi baristi e ristoratori – è finito il tempo delle vacche grasse». Il guadagno c’è, altrimenti bar e ristoranti del centro chiuderebbero per lasciare spazio a negozi di alta moda o a banche.  Dunque al fiorentino non resta che guardare con attenzione i listini prezzi e scegliere il bar alla portata delle proprie tasche. E se invece vorrà sedersi ad un tavolino in piazza della Repubblica per gustarsi un cappuccino, dovrà essere pronto ad affrontare con coraggio il conto: 5 euro e cinquanta. Tutto sommato, per una volta, che sarà mai?

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