E sei. Ecco la sesta puntata della storia della scrittrice misteriosa ”nata per far battere il cuore delle donne”, che da qualche tempo a questa parte “inganna l’attesa” dei passeggeri alle fermate degli autobus. Come sempre, infatti, la storia è stata affissa ad alcune pensiline cittadine. Eccola.
Il dolore per la morte di Maria Teresa fu così forte che mi lasciai sfuggire Giulia, o forse fu proprio questo a tenerla per sempre con me… Edgar Alan Poe narra “Lei era come l’aria che respiravo, necessaria ma scarsamente notata”. Se ne accorse presto. Il mio improvviso distacco, la mia amata libertà, la mia voglia di vivere, venivano dal desiderio di dimenticare quel terzetto distrutto dalla perdita della nostra cara amica. Cosa che ho realizzato solo a distanza di tempo. Pagai questa leggerezza.
Quell’anno conobbi una ragazza. Barbara. M’invitava spesso a casa sua a cena con la scusa di essere un’esperta cartomante. La lettura della mia mano si manifestava come l’immagine di un artista che sfiora delicatamente la sagoma del suo capolavoro. Riuscivo ad intrigarla giorno dopo giorno. Barbara era la brezza di maggio che ti risveglia dal torpore della notte. Era il vino frizzantino che scende giù, fino alla punta dei piedi e ti rende inebriata. Eppur non la baciai, non ebbi rapporti con lei. Ma una sera, per un piccolo lasso di tempo, mi fece dimenticare Giulia. Giulia che aspettava una mia chiamata verso le 21.00. Disattesa. Solo alle 23.00 mi feci viva. E la pagai cara. Occhio per occhio, il motto di Giulia. Era una furia, in preda ad una gelosia incontrollabile. Fissò per dormire da me il giorno seguente. Quella notte, però, non si presentò. Dormii sola, senza di lei. Ingenua. Al risveglio, convinta di trovarla nel mio letto, cercai di scacciare i cattivi pensieri e aspettai il pomeriggio. Nessuna notizia. Il telefono era muto. I genitori di Giulia mi chiamarono per sapere se fosse da me e il perché del non motivato rientro a casa. Ero molto preoccupata. Un trillo improvviso mi riportò alla realtà. Anastasia. Quella che dico a tutti, indicandola: “Potete non crederci, ma mi ha vista crescere!”. L’amica del pianerottolo. Quando eravamo bambine, poi adolescenti, aspettavamo di sentire quel rumore sordo, quel battito di pugni alla parete per affacciarci alla finestra e parlare. Era il nostro codice morse. L’immagine che ho quando la penso è là seduta sul bracciolo della poltrona accanto a mia sorella a guardare la TV. Decidemmo insieme di cercare Giulia. La polizia era già stata avvertita ma senza risultato. Alle 24.00, dopo un lungo giro per Firenze, tornammo a casa, a mani vuote. Improvvisamente suonò il telefono. Dall’altro capo del filo, un pianto. Giulia. Voleva incontrarmi. Così mi congedai velocemente da Anastasia e mi precipitai all’appuntamento mentre la mia testa si prodigava a cercare di capire cosa fosse successo. Il giorno della sua sparizione, aveva incontrato Lapo. No, non poteva essere, no quel ragazzo con la testa a pera, mi ripetevo. Ma gli innamorati temono quel che credono. Fissammo sul Lungarno Ferrucci. Piangeva a dirotto, raccontando che la notte prima aveva dormito da Lapo e che non era successo niente tra di loro. Le parole venivano interrotte dai singhiozzi: “Ti amo…la responsabilità è tutta tua!”. Chiusi la portiera dell’auto e accesi il motore. Piano piano, dallo specchietto retrovisore, Giulia si faceva più piccola mentre mi allontanavo accelerando.
Nel silenzio della stanza
Non ci sei
Il letto è tiepido ma
Non ci sei
Adesso che ti sto pensando
E che vorrei
Averti qui sul mio cuscino
Non ci sei
I miei pensieri, le mie ansie,
si confondono con i tuoi sorrisi e mentre tu,
stai dolcemente sognando…
io, chiudo la finestra,
irrequieta,
non riesco a dormire.
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