Non è stata una vacanza pagata. La ministra della Funzione pubblica Fabiana Dadone respinge al mittente le accuse del giuslavorista Pietro Ichino e, in un’intervista al Corriere della Sera, fa chiarezza sul futuro dello smart working in Italia. Dopo il boom forzato dall’emergenza Covid, con le disposizioni del Decreto rilancio che terminano il 31 luglio, cosa succederà e fino a quando si potrà fare ricorso allo smart working, nella pubblica amministrazione quanto tra i privati?
Smart working, botta e risposta tra Ichino e Dadone
Ichino, intervistato da Libero, aveva sostenuto che il lavoro agile per i dipendenti pubblici fosse stato “una lunga vacanza pressoché totale, retribuita al cento per cento”. Accuse alle quali Dadone risponde stamani sul Corriere. “La pubblica amministrazione non ha mai chiuso – dichiara la ministra della Funzione pubblica. “Ha sempre garantito i servizi essenziali ed è andata anche oltre col lavoro di medici e forze dell’ordine. Ma non solo. Sono orgogliosa dell’impegno di oltre 3 milioni di dipendenti pubblici: lo dico a chi fa finta di non vedere solo perché la critica fa più notizia”.
Il lavoro agile in Italia
La definizione di smart working, o per meglio dire “lavoro agile“, nell’ordinamento italiano è contenuta nella legge 22 maggio 2017, n. 81. Lo smart working, si legge nel testo, è quel “rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”.
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Flessibilità, volontarietà tra datore e lavoratore, uso di tecnologie che consentano di lavorare da remoto. Sono questi i tre cardini del lavoro agile. Per il resto, la legge riconosce ai lavoratori in smart working la completa parità di trattamento, sia economico che di tutele, dei lavoratori ordinari.
Smart working e Covid
Modalità comunque poco praticata in Italia, in coda tra i paesi Ue per il ricorso allo smart working: almeno fino all’arrivo del Covid. Secondo i dati dell’Osservatorio Smart working del Politecnico di Milano, nell’ottobre 2019 in Italia gli “smart worker” erano 570 mila. Al 29 aprile 2020, secondo i dati diffusi dal Ministero del Lavoro, erano saliti a 1.827.792, di cui 1.606.617 passati allo smart working durante l’emergenza coronavirus. Ancora molti di più, invece, secondo uno studio di Cgil e Fondazione Di Vittorio che, al 18 maggio, stimava 8 milioni di lavoratori agili.
Smart working, fino a quando?
Una crescita vertiginosa. Ma la rivoluzione dello smart working è destinata a resistere nel tempo o durerà solo per il tempo dell’emergenza, ovvero fino al 31 luglio? È quella infatti la data fissata dal Decreto rilancio per l’accesso agevolato al lavoro agile dei per chi ha figli, sia nel privato che nella pubblica amministrazione.
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In dettaglio, gli articoli 90 e 263 del Decreto rilancio stabiliscono che i lavoratori dipendenti con almeno un figlio entro i 14 anni hanno diritto allo smart working durante l’emergenza coronavirus, la cui scadenza è fissata proprio al 31 luglio. Senza bisogno di siglare gli accordi individuali previsti dalla legge 81/2017, a patto che – naturalmente – il lavoro agile sia compatibile con la loro mansione.
Lo smart working nella pubblica amministrazione
Secondo quanto dichiarato dalla ministra Dadone al Corriere della Sera, il ricorso allo smart working nella pubblica amministrazione ha toccato punte del 90% durante l’emergenza Covid. E la percentuale dei dipendenti esonerati dal lavoro, secondo la ministra, è stata “residuale”.
Oltre il Decreto: cosa succede dal 31 luglio
Tutto destinato a finire il 31 luglio? No, almeno per gli Statali. In sede di conversione di legge del decreto rilancio un’emendamento ha prorogato lo smart working per il 50% dei lavoratori della pubblica amministrazione fino al 31 dicembre 2020 (qui i dettagli), introducendo per il 2021 il piano organizzativo del lavoro agile.