Capitan Stoviglia era un temibile pirata. In tutti i mari del globo, era conosciuto per la sua fama di filibustiere e avventuriero. Ma a renderlo noto era anche la sua fame proverbiale che ne spiegava il pancione e la mole corpulenta. Capitan Stoviglia era ghiotto soprattutto di pasta e ancor di più di spaghetti al pomodoro.
Non a caso si chiamava così: al posto della mano destra, che aveva perduto in una lotta subacquea con uno squalo, Capitan Stoviglia si era fatto mettere un grosso e lungo forchettone d'argento. Con quello era solito arrotolare l'intera montagnola di spaghetti che ogni giorno ordinava al mozzo-chef di preparargli. Amava così tanto la pasta al pomodoro che una volta fece rinchiudere nelle segrete della stiva un marinaio che si era pappato l'ultimo pacco di penne della cambusa. Un altro venne spinto in mare perché aveva fatto leggermente scuocere i rigatoni. Non solo, Capitan Stoviglia adorava la pasta a tal punto da aver chiamato la sua nave Bucatino.
La vita di Capitan Stoviglia procedeva sempre uguale con il solito tran tran di razzie nei porti, risse nelle balere, botte da orbi alla ciurma e ovviamente, manco a dirlo, abbondanti pastasciutte alla pomarola. Finché un giorno un misterioso figuro conosciuto in una balera di Taiwan raccontò a Capitan Stoviglia la leggenda di un meraviglioso tesoro custodito in una grotta nel cuore di Toscana: un forziere pieno di spaghetti d'oro nascosto dall'inventore della pasta, Picio de Fusillis, ai piedi del Ponte Vecchio a Firenze. Picio era stato il cuoco fidato dell'ingegnosa Caterina de' Medici, la prima a capire che gli spilloni per capelli erano ottimi strumenti per arrotolare gli spaghetti. Fu proprio lei a regalare a Picio lo scrigno di pastasciutta d'oro per ringraziarlo delle sue prelibatezze. Lo sfortunato cuoco lo celò in una spelonca quando fu costretto a fuggire da Firenze per colpa di una terribile epidemia di varicella. Poi, non riuscì a fare più ritorno in città e a recuperarlo.
Capitan Stoviglia chiamò subito a raccolta la ciurma e spiegate le vele della Bucatino puntò il timone verso il Mediterraneo. Dopo settimane di navigazione, la Bucatino finalmente raggiunse Boccadarno e risalendo il fiume arrivò in prossimità del Ponte Vecchio. Capitan Stoviglia aspettò la notte per entrare in azione. Quatto quatto, penò un bel po' prima di scovare l'entrata della spelonca ai piedi del Ponte.
Ma la faticaccia venne ricompensata dallo spettacolo che il pirata si trovò di fronte una volta aperto il forziere: centinaia di spaghetti d'oro lucentissimi e decorati da pietre e brillanti colorati. Capitan Stoviglia non seppe resistere. Con l'acquolina in bocca, bramoso come un lupo affamato, azzannò con foga gli invitanti spaghetti dorati. Bellissimi e apparentemente buonissimi ma anche duri, durissimi come sassi.
Dalla bocca di Capitan Stoviglia si alzò un grido e non era di gioia: richiuse le fauci in preda a un acuto dolore e tanti denti quanti ne aveva in bocca caddero all'istante per terra. Il pirata ululò dal male e scappò via dalla grotta e dal tesoro d'oro, vittima della sua stessa ingordigia. Umiliato e sdentato non ebbe nemmeno il coraggio di farsi rivedere dalla ciurma. Nessuno seppe che fine fece. Ma una cosa è certa: da quel giorno, tutti cominciarono a chiamarlo Capitan Brodino.