Nella celebre lettera indirizzata a Cangrande della Scala, signore di Verona, amico e protettore, Dante Alighieri tenne a definirsi fiorentino di nascita ma non di costumi. In effetti, sappiamo bene come l’esule stimasse poco i compatrioti. Nemmeno per i grandi uomini come Farinata degli Uberti, per i sapienti come il vecchio maestro Brunetto Latini, o addirittura per i padri degli amici come Cavalcante dei Cavalcanti ebbe mai riguardi. Tutti tra le fiamme. Eppure la casa di Dante rimase sempre Firenze, nonostante tutto: le tante frasi del Sommo Poeta, disseminate sulle lapidi poste in vie e vicoli della città, ne sono una testimonianza.
Quando nel 1900, il Comune di Firenze incaricò Isidoro del Lungo assieme ad altri studiosi di cercare nella Commedia ogni riferimento ai luoghi della città, i cieli prevalsero. Le terzine della topografia fiorentina ricordano nove volte l’Inferno, cinque volte il Purgatorio e venti volte il Paradiso. Dopo oltre dieci anni di esilio, Dante ricordava ancora bene le sue strade. Oggi, trentaquattro lapidi segnano questi spazi. Scopriamone alcune.
Via dei Calzaiuoli e il “mistero” dantesco (Inferno, Canto X)
se per qvesto cieco
carcere vai per altezza d’ingegno,
mio figlio ov’è? e perché non è teco?ed io a lvi: da me stesso non vegno:
colvi che attende là per qvi mi mena,
forse cvi gvido vostro ebbe a disdegno
Il Canto X del’Inferno è senza dubbio uno dei più famosi della Commedia. Qui, chiusi all’interno dei sepolcri infuocati giacciono i seguaci di Epicuro, materialisti colpevoli di aver negato l’immortalità dell’anima. Cavalcante dei Cavalcanti emerge dalla tomba e non si preoccupa di interrompere il dialogo con Farinata degli Uberti. L’uomo desidera notizie di suo figlio Guido, amico inseparabile del poeta nei giorni felici. Dante risponde bruscamente, ricordando la ragione divina del suo viaggio e con un’allusione alla poca religiosità di Guido.
Questo canto evidenzia il mistero del silenzio dantesco sull’eresia catara. La grande eresia del Medioevo fu molto diffusa a Firenze, tra il rinnovamento cattolico di francescani e domenicani, le lotte violente, i roghi e la prossimità politica tra eretici e ghibellini. Possibile che la Commedia, tanto attenta alla storia fiorentina, taccia dei catari? La domanda sorge al Canto X, facile considerare l’epicureismo un’eresia. E soprattutto, ricordare come il ghibellino Farinata degli Uberti finì sul rogo in piazza Santa Croce, una condanna forse politica e per fortuna sicuramente post mortem. D’altra parte i catari non erano affatto epicurei, la loro dottrina si basava sul dualismo tra Dio e il diavolo, infero creatore del mondo materiale, dalla cui prigione l’anima umana doveva liberarsi. La domanda resta ancora senza risposta. La lapide è in via Calzaiuoli 11-13 rosso, dove si trovavano le case dei Cavalcanti.
La scalinata verso la “cima” di Firenze e le frasi di Dante (Purgatorio, Canto XII)
per salire al monte
dove siede la chiesa che soggioga
la ben guidata sopra rubaconte,si rompe nel montar l’ardita foga,
per le scalee, che si fero ad etade
ch’era sicuro il quaderno e la doga
Nella prima Cornice del Purgatorio, Dante ha incontrato le anime dei superbi. L’angelo dell’umiltà tocca la fronte del poeta con le sue ali e invita a proseguire per la seconda. La strada ricorda la salita fiorentina verso la chiesa di San Miniato al Monte che domina la ben guidata e il vicino Rubaconte. Il cammino è meno faticoso perché le ali dell’angelo hanno cancellato il peccato di superbia. Anche tra gli angeli, le strade ricordano la città natale. Firenze casa di Dante, anche in Purgatorio.
Qui la curiosità è toponomastica e ironica. Il podestà Rubaconte da Mandello finì per lasciare il proprio nome al ponte che aveva costruito nel 1237. Un ricordo sopravvissuto a lungo, nella forma popolare del Rubaponte. Oggi lo stesso collegamento è assicurato dal ponte alle Grazie. L’ironia invece è quella della ben guidata: Firenze. Dante non stimava affatto il governo cittadino. La lapide è fissata all’inizio della scalinata che conduce verso Piazzale Michelangelo.
La torre vicino Ponte Vecchio (Paradiso, Canto XVI)
la casa di che nacqve il vostro fleto,
per lo givsto disdegno che v’ha morti,e pvose fine al vostro viver lieto,
era onorata, essa e svoi consorti
Queste frasi ricordano una sorta di mito fondativo della Firenze di Dante: l’origine della guerra civile tra guelfi e ghibellini. Fleto, significa lutto. Essa, è la fanciulla di casa Amidei, onorata promessa sposa di Buondelmonte dei Buondelmonti. Secondo la versione “romanzata”, Buondelmonte scelse l’amore e tradì la promessa di matrimonio per una ragazza della famiglia Donati. Secondo i canoni del tempo, gli Amidei dovevano vendicarsi. Il matrimonio avrebbe dovuto celebrarsi la domenica di Pasqua del 1216. Quel giorno, Buondelmonte vestì di bianco, montò un cavallo bianco, passò Ponte Vecchio. Gli Amidei attendevano, atterrarono Buondelmonte e lo uccisero. Buondelmonti e Donati formarono la parte guelfa. I ghibellini si strinsero con gli Amidei.
La ricerca storica sfata il mito. Enrico Faini ha pubblicato un saggio molto interessante: Il convito del 1216. La vendetta all’origine del fazionalismo fiorentino. Lo studio dei contratti notarili mostra come negli anni immediatamente precedenti l’omicidio, i Buondelmonti smisero bruscamente d’invitare come testimoni gli uomini delle famiglie che sarebbero diventate ghibelline, prendendo ad appoggiarsi ai futuri guelfi. Probabilmente, il cambiamento di fazione precedette e causò quello di politica matrimoniale. Infine, soltanto dopo un secolo e una volta che le fazioni aristocratiche ebbero ammantato la lotta politica con gli ideali guelfo e ghibellino, un caso secondario di vendetta privata poté essere mitizzato. La Torre degli Amidei (o Torre dei Leoni) sorge in via Por Santa Maria 9-11 rosso, prossima al Ponte Vecchio.