sabato, 27 Aprile 2024
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Perché (e come) leggere Dante oggi: intervista al professor Alberto Casadei

Secondo il grande dantista, l'Inferno sarebbe davvero nato a Firenze. A 700 anni dalla morte di Dante, ecco perché la Commedia resta attuale

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Alberto Casadei è professore ordinario di Letteratura italiana all’Università di Pisa. Si occupa di opere dal Trecento al Cinquecento e di poesia e narrativa contemporanee, di teoria letteraria e poetica cognitiva. Ha scritto numerosi articoli e contributi danteschi. Il suo ultimo libro è “Dante – Storia avventurosa della Divina commedia dalla selva oscura alla realtà aumentata“, pubblicato da Il Saggiatore.

«Con altra voce omai, con altro vello / ritornerò poeta, e in sul fonte / del mio battesmo prenderò ‘l cappello». Invece Dante, a Firenze, non tornò. L’auspicio che apre il canto XXV del Paradiso rimarrà tale: mai verrà incoronato nel Battistero di San Giovanni, mai la città volle estinguere la condanna all’esilio che lo condannò a comporre l’opera più grande nelle corti rivali, da ospite. Solo con molti decenni di ritardo, quando la fama della Commedia era ormai immensa, Firenze rivendicherà il poeta. Consolandosi con l’idea che, forse, almeno l’Inferno potrebbe esser nato a Firenze, appena prima che la guerra tra guelfi bianchi e neri prendesse a infuriare. Tutta leggenda? Forse no.

“Io sostengo che Dante abbia iniziato davvero a scrivere l’Inferno a Firenze”: a dirlo è Alberto Casadei, uno dei massimi dantisti contemporanei. Il perché lo spiega nel suo Dante – Storia avventurosa della Divina Commedia dalla selva oscura alla realtà aumentata, pubblicato di recente da Il Saggiatore. Un percorso guidato nell’epoca e nella poetica di Dante, strumento adatto tanto agli specialisti quanto ai lettori comuni. “C’è una leggenda, o quella che molti ritenevano lo fosse, riportata da Boccaccio – racconta il professor Casadei – secondo la quale Dante avrebbe scritto i primi sette canti a Firenze. Poi, mandato in esilio e rimasto senza i manoscritti aveva dovuto accantonare il lavoro. Fino a quando quelle «iscritture» non vennero recuperate e riconsegnate. Sarebbe avvenuto intorno al 1306, quando il poeta di sicuro rimase per qualche tempo presso i Malaspina in Lunigiana. Detta così sembra una storia inventata dai fiorentini tanto per dire che, sì, lo abbiamo cacciato da Firenze ma è qui che è nata la Commedia”.

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Invece andò proprio così?

Si capisce che i canti scritti a Firenze non possono essere sette perché nel sesto già si parla dell’esilio, quindi è successivo. Boccaccio probabilmente non si era potuto affidare alle persone che direttamente avevano rinvenuto i manoscritti, ma a degli informatori. Informatori che avevano notizie molto buone. L’idea che i canti fossero sette è un’invenzione, nasce per il fatto che il canto ottavo si apre con il verso «Io dico, seguitando…». Detto questo però ci sono ragioni interne, stilistiche, di tipo di discorso, per potere affermare con buona probabilità che i primi quattro canti siano stati effettivamente scritti a Firenze. Sono canti che risultano da varie angolature arcaici rispetto ai successivi, contengono elementi poco plausibili se inseriti nel 1307, ma molto meglio giustificabili prima dell’esilio. Dante li avrebbe scritti nel 1300-1301, in anticipo sul primo grande Giubileo. E li avrebbe quindi scritti a Firenze.

© “Venturino Venturi, illustrazioni per La Divina Commedia”, courtesy Galleria e Casa d’Aste Pananti, www.pananti.com

A proposito di Dante a Firenze, lo si immagina molto coinvolto nella vita politica e intellettuale del suo tempo. Che rapporto c’era tra il poeta e la città?

In realtà era molto meno inserito di quello che immaginiamo. Al di là dell’esilio, che è successivo e arriva per motivi politici, Dante non faceva parte degli ambienti universitari, non era dottore in legge, non aveva studiato a Bologna anche se aveva frequentato la città. Però aveva letto così tante cose e in maniera talmente personale e acuta da essere considerato uno degli uomini più dotti del suo tempo. A suo modo è un intellettuale, ma lo è da outsider. Tutto quello che fa è assolutamente suo e originale, non corrisponde quasi per niente agli schemi dell’epoca. Tant’è che i primi tentativi di interpretarlo fatti al suo tempo sono banalissimi rispetto alla complessità del suo testo. Per esempio, la solita storiella che viene detta fin dalle scuole superiori, cioè che Virgilio è allegoria della ragione, Beatrice allegoria della teologia… è una lettura che arriva da quello che ne dicevano i primi interpreti ma non corrisponde affatto a quello che fa Dante. Il suo è un testo estremamente denso, di versi brevissimi, condensati, scritti in terzine. E questo è fondamentale e complicatissimo. Paradossalmente è superiore rispetto a tutti gli intellettuali “veri” della sua epoca proprio perché non adotta la loro sistematicità. Il testo di Dante è totalmente originale, più profondo. Per questo anche molto più interessante.

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La stessa profondità dei suoi personaggi: lei parla di Dante come di un “poeta-antropologo” per il modo in cui indaga il vissuto delle anime che incontra.

Già quelli che nell’Ottocento venivano riconosciuti come personaggi eterni, pensiamo a Ugolino, a Farinata, ovviamente a Francesca e Ulisse, lo sono in quanto personaggi che toccano caratteristiche umane perenni. Addirittura nel tempo si sono arricchiti di sfumature nuove, proprio perché sono degli archetipi. Ulisse, ad esempio: uno dei più grandi eroi dell’antichità – Dante peraltro credeva che fosse esistito davvero – ma la tradizione antica non diceva niente in merito alla sua morte. Dante allora decide di creare il suo finale, come farebbe un grande narratore di oggi. Oppure Francesca, un personaggio inventato: aveva qualche notizia, poche informazioni su un fatto terribile che poteva essere accaduto. Ma non è che ci fossero gli strumenti attuali per ricostruirlo. Allora Dante, in un mondo in cui c’erano solo gli eroi antichi, o al massimo quelli della Tavola Rotonda del ciclo arturiano, inventa un’eroina, donna e a lui contemporanea. Qualcosa di assolutamente inconcepibile. Tutto questo fa di Dante il primo grande romanziere. E come ogni romanziere, è anche un po’ un antropologo.

Il suo è però anche un percorso di redenzione personale.

Il viaggio comincia da una situazione di grande dolore, la famosa selva oscura. Che è il peccato, ma in generale è la condizione di colpa, di incertezza. Da lì Dante si spinge fino a immaginare di incontrare Dio, una delle cose più potenti che uno scrittore antico poteva immaginare, soprattutto uno scrittore cristiano. Il suo percorso mostra, da un lato, una grande inquietudine. Dante è un personaggio inquieto, che cambia tante volte idea su tante cose. Al tempo stesso però ha una serie di certezze, le stesse che lo sostengono fino alla fine del suo viaggio salvifico. Il suo è un percorso di formazione, iniziatico, simile a quello di chiunque voglia arrivare a una verità.

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Anche passando attraverso il dolore: Dante conosce il fallimento, racconta il male senza giudicare. Di nuovo, in anticipo sui suoi tempi?

Un lettore di oggi, anche senza essere uno specialista, riesce a comprendere il modo in cui Dante affronta i grandi temi: le grandi colpe, i grandi peccatori, ma anche la grande umanità. Tutto il suo percorso ultraterreno è pieno di umanità. Dante non si tira indietro di fronte a niente, anche alle cose più terribili. Ugolino si ciba della carne dei figli. È il punto più basso dell’Inferno, dove l’uomo – per colpa di altri uomini – è tornato bruto, privo di controllo, e la cosa più orrenda che può fare è appunto cibarsi della carne dei figli. Dante lo racconta senza dirlo esplicitamente, lascia che sia il lettore a capirlo da solo. Di più, vuole la partecipazione costante dei lettori che devono capire perché quel personaggio è lì, cosa ha fatto e perché anche chi si trova nel più basso Inferno è in realtà un eroe tragico.

Come ricorderà Dante nel 2021?

Con l’Associazione degli italianisti, di cui sono coordinatore del gruppo Dante, riproporremo la nostra maratona per il Dantedì, il 25 marzo, con 100 scuole di tutta Italia che leggono tutti e 100 i canti della Divina Commedia in una mattina. Se si affronta Dante in modo attivo, facendo capire perché è importante studiarlo, gli studenti si appassionano, approfondiscono e ne traggono anche alcune versioni personali. E poi a maggio, in un momento che si spera sia un po’ meno terribile dal punto di vista epidemico, abbiamo organizzato moltissimi incontri in tutta Italia con grandi scrittori italiani e stranieri che prenderanno uno spunto dantesco per parlare di attualità. Il tutto diventerà una serie di video. L’importante è che non siano iniziative effimere, che siano l’occasione per lasciare qualcosa a disposizione di tutti.

Intervista tratta da Il Reporter di gennaio/febbraio 2021

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