Scoperti cinque nuovi geni associati in modo significativo alla malattia di Alzheimer. E’ il risultato raggiunto dalla più grande rete di ricerca per lo studio dell’origine dell’Alzheimer, di cui fanno parte due ricercatori dell’ateneo fiorentino, testimoniato in un articolo pubblicato sull’ultimo numero di Nature Genetics (“Varianti comuni a livello di ABCA7, MS4A6A/MS4A4E, EPHA1, CD33 e CD2AP sono associate con la malattia di Alzheimer”).
LA RICERCA. La ricerca è il frutto di una collaborazione internazionale senza precedenti. Il gruppo infatti è costituito da oltre 170 ricercatori europei e americani. Fra i neuroscienziati anche Benedetta Nacmias, ricercatore in Neurologia, e Sandro Sorbi, ordinario di Neurologia, della facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università di Firenze, che hanno contribuito alla scoperta dei nuovi geni implicati nella genesi della malattia. Lo studio ha coinvolto 60.000 soggetti provenienti da Stati Uniti ed Europa, in particolare 20.000 pazienti e 40.000 soggetti di controllo, osservati in più repliche, e ha evidenziato risultati significativi a livello del gene ABCA7 sul cromosoma 19 e MS4A sul cromosoma 11. Sono stati inoltre ottenuti dati significativi per i geni CD2AP sul cromosoma 6, EPHA1 sul cromosoma 7 e CD33 sul cromosoma 19.
RISULTATI. “La parte più interessante dei risultati di questo studio è la coerente funzione che si ritiene attribuibile a questi geni identificati – spiega Benedetta Nacmias – ABCA7, CD33 e EPHA1 hanno un ruolo nel sistema immunitario, CD33 e CD2AP sono coinvolti nei processi a livello delle membrane cellulari, inclusa l’endocitosi, e ABCA7 nel metabolismo lipidico. Tutti processi – chiarisce la ricercatrice – che giocherebbero un ruolo importante nella neurodegenerazione e nella mancata rimozione del peptide beta amiloide dal cervello”.
LA MALATTIA. La malattia di Alzheimer infatti è causata sia da fattori genetici che ambientali che favoriscono la progressiva deposizione all’interno del cervello di una particolare proteina, denominata beta-amiloide, con conseguenze tossiche sui neuroni favorendo la progressiva degenerazione cerebrale. “Questi risultati – spiega Sandro Sorbi – forniscono nuovo impeto agli studi che mirano alla comprensione della patogenesi della malattia di Alzheimer nel suo complesso, fornendo importanti implicazioni anche per lo sviluppo di strategie preventive e terapeutiche.”
IL PROBLEMA. La malattia di Alzheimer è un processo neurodegenerativo che provoca un declino globale delle funzioni della memoria e di quelle intellettive associato a un deterioramento della personalità e della vita di relazione. Colpisce in modo conclamato circa il 5% delle persone oltre i 60 anni. In Italia si stimano circa 600.000 ammalati. Il costante aumento della popolazione in età senile sta rendendo questa patologia una vera e propria “epidemia silente” con elevati costi sociali ed economici.