Da zone d'ombra, strutture inadeguate e spesso oltre i limiti della vivibilità, a luoghi di inclusione che intrattengono relazioni con la città nasce un corso di formazione professionalizzante per ripensare le carceri attraverso l'architettura. A promuoverlo sono la Fondazione Michelucci e l'Ordine degli architetti di Firenze che lo hanno presentato stamani.
Il primo in Italia
Il corso, il primo nel suo genere in Italia, è dedicato alla rapporto tra progetto di architettura e carcere ma anche, più in generale, tra architettura e tutti i luoghi di emarginazione che creano ferite nel tessuto urbano delle città moderne, dai campi rom, definiti impropriamente “nomadi”, ai centri di accoglienza per migranti alle soluzioni abitative per profughi e rifugiati.
Un progetto che nasce nel solco dello spirito con cui l'architetto Giovanni Michelucci a metà degli anni '80 progettò il Giardino degli incontri all'interno del carcere fiorentino di Sollicciano, uno spazio di socialità con caratteristiche urbane dove i detenuti ricevono i parenti, che nacque per rendere più sottile la distanza tra il “dentro” e la città fuori.
La presentazione pubblica del corso si è tenuta oggi alla Palazzina Reale di Santa Maria Novella, sede degli architetti fiorentini, con l'incontro “Architettura e diritti umani” a cui hanno preso parte i rappresentanti della Fondazione Michelucci e degli architetti e, tra gli altri, il garante regionale dei diritti dei detenuti Franco Corleone.
“Il presupposto da cui questa iniziativa nasce è molto semplice – spiegano il presidente della Fondazione Michelucci e quello dell'Ordine degli architetti, Giancarlo Paba e Egidio Raimondi -: la qualità del progetto, e quindi dell'architettura, sono sinonimi della qualità della vita. E quindi di relazioni umane, diritti, socialità e sicurezza”.
il programma
Tre le lezioni in programma, che si svolgeranno tra maggio e la fine dell'anno in Palazzina Reale. Al termine del corso, si terrà un workshop progettuale che cercherà di trovare nel concreto risposte alle tematiche trattate, con riferimento specifico al territorio toscano e a quello di Firenze, e lo sguardo rivolto alle esperienze messe in atto nelle principali città europee. Un laboratorio pratico i cui risultati saranno messi a disposizione delle amministrazioni pubbliche, sulla scia di quello che ha visto impegnati gli architetti a servizio della città per la ricostruzione dei parchi sull'Arno distrutti dal maltempo.
Il primo corso si svolgerà nell'intera giornata di martedì 17 maggio e sarà dedicato al carcere. Tra i relatori vi saranno esperti del tema e progettisti sia esterni che interni all'amministrazione della Giustizia come l'architetto del Ministero Leonardo Scarcella o Cesare Burdese, esperto di architettura carceraria. I penitenziari italiani e le loro profonde criticità, come dimostra la sentenza della Corte europea per i diritti dell'uomo che ha condannato l'Italia per trattamento inumano e degradante dei detenuti, saranno solo il punto di partenza per una riflessione complessiva sulla riprogettazione di tutti gli spazi dell'esecuzione penale, come i luoghi per la semilibertà, le strutture a sicurezza attenuata per tossicodipendenti e quelle per le detenute con bambini piccoli solo per fare qualche esempio. Temi cruciali, già al centro del tavolo ministeriale su “Architettura e carcere” convocato nella primavera 2015 dal Ministero della Giustizia a cui ha partecipato anche la Fondazione Michelucci. La Toscana, con le sue 18 strutture e circa 3.400 detenuti, si presenta come un caso studio di particolare interesse.
“Non esiste sul piano formativo un corso professionalizzante con le stesse caratteristiche – spiegano il direttore della Fondazione Michelucci e il consigliere della Fondazione degli architetti di Firenze, Corrado Marcetti e Antonio Bugatti -. Da parte nostra, lo riteniamo un modo per richiamare l'attenzione delle istituzioni sulla progettazione dei 'non luoghi' di una città, la gestione delle periferie vecchie e nuove, delle marginalità. Temi di attualità che troppo spesso non sono in agenda. Ma anche un modo per scuotere gli architetti, ricordargli che il loro mestiere, quello di progettare, significa 'vedere prima' le soluzioni ai problemi urbani di una comunità. Una iniezione robusta di vitamine civili, necessarie nella progettazione di una città”.
In autunno si svolgeranno gli altri due corsi. Uno sarà focalizzato sulle soluzioni di accoglienza per i profughi e i rifugiati, con particolare attenzione ai modelli dell'accoglienza diffusa e una riflessione sui campi profughi e le strutture temporanee. L'altro sarà dedicato ai brani di “città informale”, microcosmi irregolari insediati in territori di scarto o in aree industriali dismesse alla periferia delle città, spesso coincidenti con i campi della popolazione Rom, che interessano 40mila persone in Italia.