giovedì, 12 Dicembre 2024
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Festa di San Rocco nel rione di San Frediano

La festività laica e religiosa di San Rocco confessore, avvocato contro la peste, si svolgeva a Firenze il 16 di agosto

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La festività laica e religiosa di San Rocco confessore, avvocato contro la peste, si svolgeva a Firenze il 16 di agosto. Era particolarmente sentita, ma la più organizzata era quella prettamente popolare che si teneva nel rione di San Frediano in Oltrarno. Lodovico Antonio Giamboni nel suo Diario Sacro del 1700, ci fa sapere che, nell’oratorio dedicato proprio a San Rocco in Camaldoli alla Porta San Frediano, tradizionalmente nella ricorrenza della festività, veniva “dispensato” il vino ai poveri.

L’oratorio di San Rocco, fondato lungo le mura di fronte a Via dell’Orto da pie e devote persone e con l’aiuto dell’arciduchessa d’Austria Maria Maddalena, fu poi distrutto nel XIX secolo in occasione degli interventi urbanistici di Firenze capitale d’Italia, insieme proprio a quel tracciato di mura. La tipica festività sanfredianina, divenuta tradizionalmente la più sentita nel quartiere dell’Oltrarno, coinvolgeva spontaneamente tutti i residenti che facevano a gara per addobbare con festoni di alloro e luminarie le vie del rione. Anche il parroco della chiesa di San Frediano in Cestello, don Giovanni Manetti, il 14 agosto 1843 (ASCFi, CA 515, c. 759), scriveva al Gonfaloniere per ottenere il permesso di chiudere la breve strada di Via di Cestello a lato della sua chiesa, per poter erigere, allo sbocco di questa strada con l’omonima piazza, che allora era detta dell’Uccello, un palco per fare esibire le Trombe dei RR. Carabinieri ed anche illuminare con fanali il casotto del Pozzo artesiano.

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A tale richiesta, il permesso fu prontamente concesso. La festa di San Rocco scaturiva quasi all’improvviso a fine giornata, con cene all’aperto consumate nelle piazze e nelle strade con tavole imbandite che spuntavano qua e la come funghi, aggiungendosi l’una all’altra, davanti alle abitazioni, alle botteghe ed ai laboratori degli stessi commensali abituati ad un frugale sistema di vita. Si veniva così a formare un variopinto e lungo desco che si snodava per tutto il popolare quartiere all’insegna dell’amicizia, della giovialità e del buonumore. Il bello della festa era l’allegria che si avvertiva ovunque: nelle canzoni, nelle poesie, nelle disturne, nelle danze e nei giochi, nelle burle improvvisate alle spalle dei più creduloni che abboccavano come pesci, con gran divertimento di tutti, e cosa fondamentale… con poca spesa.

Si mangiavano lasagne, maccheroni, trippe cucinate in tutti i modi, perché proprio la trippa era allora l’alimento principe nella dieta dei sanfredianini, tanto da dire che i loro ragazzi si allevavano a “brodo di trippa!”. Non mancavano però pollame, stufati e l’immancabile cocomero dalla zuccherina polpa rosso fiammante; tanti fiaschi di vino innaffiavano la serata all’insegna di “bevi il vino e lascia andar l’acqua al mulino”. Poi veniva corso il “Palio nei sacchi”; per questo gioco, i partecipanti si infilavano in lunghi sacchi di juta che, legati fino al collo, lasciavano vedere soltanto la testa dei concorrenti i quali, saltellando a piccoli balzi, dovevano raggiungere il traguardo… tagliato soltanto dopo goffe cadute che destavano la più irrefrenabile ilarità fra i presenti.

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Ma ci si arrampicava anche sullo scivoloso “Palo della Cuccagna”, piantato in Piazza de’ Nerli, nel tentativo di accaparrarsi un penzolante premio posto alla sommità. Il grasso o il sapone, con i quali sapientemente era cosparso il grande palo, vanificavano il più delle volte i grandi sforzi dell’ascesa, sottoponendo gli intraprendenti “arrampicatori”, ormai privi di forze, a buffe cadute spesso fatte sui glutei. In epoca a noi più recente, in Piazza Torquato Tasso, si correva anche il “Palio dei ciuchi” dove, fra un folto e vivacissimo tifo del chiassoso e pittoresco pubblico, si eleggeva la “reginetta di San Frediano”, ossia la più bella ragazza del quartiere.

Chiunque fosse passato in San Frediano in questa ricorrenza alla sera del 16 agosto, veniva accolto con cordialità e a maggior ragione se conosciuto da qualche commensale, non poteva esimersi dal sedersi a tavola e gradire del cibo, ma sopratutto ad alzare il gomito per brindare con bicchieri colmi di buon vino che, come asserito dal noto proverbio, “fa buon sangue”. Da anni la popolare festa non si svolge più e, proprio per evitare che finisca dimenticata, l’abbiamo voluta ricordare!

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