“Come, hai fatto ingegneria e ora ti ritrovi allievo dal calzolaio?” chiedeva ironico Beppe, il ciabattino storico di Ponte a Greve, zona sud ovest di Firenze. Ma questo giovane apprendista, 30 anni, originario di Poggio a Caiano e una laurea all’Università di Firenze, il mestiere l’ha preso sul serio, tanto che adesso porta avanti questo lavoro artigianale e si fa chiamare “Giacomo l’ingegnere-calzolaio”.
Ha aperto una sua bottega, poco distante dal negozio che era del maestro: Giuseppe Sala, semplicemente “Beppe” come lo conoscevano tutti, 50 dei suoi 73 anni li ha passati a lavorare in via Pisana. Il 4 marzo scorso è morto in un brutto incidente stradale. Prima di andarsene, da un mese aveva finalmente trovato un apprendista a cui avrebbe voluto cedere l’attività in vista della pensione, la prossima estate.
Beppe il ciabattino e l'apprendista (ingegnere)
Lo cercava da tempo e lo ha scovato per una coincidenza. “Il commercialista di mio padre e quello di Beppe si conoscevano”, racconta Giacomo Barenghi, una laurea in ingegneria edile nel 2013 e poi tanti lavoretti. Niente di stabile: 6 mesi come agente di commercio, 5 saltando da uno studio di architettura all’altro.
“Ho mandato curriculum ovunque – dice – quando ho saputo di Beppe mi sono detto ‘perché stare a far niente, intanto vado a imparare un mestiere’, è stata una scelta fatta a pelle”. Alle spalle non aveva esperienza nel settore, solo del fai-da-te in casa, ma “Beppe diceva che avevo una buona mano”.
L'ABC del calzolaio
Giacomo sorride quando parla della nuova professione, scoperta quasi per caso e in cui si è buttato a capofitto. In trenta giorni da apprendista ha imparato i rudimenti, come risuolare, rifare i tacchi, mettere una cerniera. “Il massimo per me sarebbe creare scarpe su misura – confida – per ora inizio a fare riparazioni. Se avrò modo seguirò corsi professionali”.
Dietro all’impresa del giovane calzolaio non ci sono banche e prestiti, ma un’intera famiglia: il capitale l’ha investito nonna Maria; babbo Giovanni e mamma Simonetta hanno aiutato nel trasloco dei macchinari e dei materiali, comprati dai parenti di Beppe, verso il nuovo laboratorio, quaranta metri quadrati in via De’ Menabuoi, poco lontano dal nucleo storico di Ponte a Greve.
Impresa di famiglia
“Non mi sarei mai aspettato di passare dall’ingegneria al calzolaio – ride Giacomo – non c’è confronto rispetto a quando studiavo, qui le giornate passano veloci, non sai che soddisfazione provavo quando i primi lavoretti venivano bene”. Una seconda vita per Giacomo, una seconda vita per un mestiere tradizionale. A Ponte a Greve l’eredità di Beppe non è andata persa, ha trovato una strada inaspettata.
Chi era Beppe il calzolaio di Ponte a Greve
Ha fatto le scarpe a mezzo rione. Certo, ogni tanto bucava le consegne o dava per disperso qualche paio nel gran trambusto del negozio, ricordano tra i sorrisi i tanti clienti affezionati, ma le scarpe a Ponte a Greve si portavano da lui, “il miglior ciabattino della zona”, dicono.
Era fatto così Beppe, al secolo Giuseppe Sala, classe 1941, disordinato, caotico ma con le persone e le calzature ci sapeva fare. Aveva aperto la prima bottega in via Pisana cinquant’anni fa. Il 4 marzo è stato investito in via Baccio da Montelupo mentre tornava a casa. Per il suo funerale si è mobilitato mezzo rione: Beppe qua era un’istituzione.