venerdì, 22 Novembre 2024
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Un motto, una storia: Protector noster

Se volgiamo lo sguardo sullo spigolo della cantonata di Via dei Servi con la Piazzetta di San Michele Visdomini, all’altezza del primo piano dell’immobile che al piano terra ospita una bottega di corniciaio, scorgiamo la scritta angolare “Protector noster”.

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Se volgiamo lo sguardo sullo spigolo della cantonata di Via dei Servi con la Piazzetta di San Michele Visdomini, all’altezza del primo piano dell’immobile che al piano terra ospita una bottega di corniciaio, scorgiamo la scritta angolare “Protector noster”.

Si tratta di un motto che decorava la base di un bello stemma mediceo, oggi scomparso, sormontato da un copricapo cardinalizio.

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Era l’arme della famiglia dei Medici cosiddetti “Neofiti”, cioè della famiglia Fabbi che nel XVI secolo, dalla fede ebraica, passò a quella cristiana. Il cardinale Ferdinando de’ Medici (poi granduca), ne fu il padrino durante la cerimonia in cui il papa somministrò i sacramenti a Vitale e ai suoi figli.

Firenze, Piazzetta di San Michele Visdomini

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I Medici

Proprio da questa occasione la famiglia che aveva abiurato a favore della chiesa Romana, assunse ufficialmente il cognome “Medici”. Infatti, il cardinale mediceo ne fu talmente lusingato da donare ai Fabbi, oltre al suo cognome, anche l’arme propria. Questa vicenda ebbe iniziò a Roma, con la conversione del generoso medico rabbino Iochiel Fabbi, battezzato dal pontefice con il nome di Vitale unitamente ai suoi figli Alessandro e Antonio e alla figlia Grazia, in seguito andata in sposa al nobile fiorentino Bartolomeo Sermanni. Allorché Ferdinando a quarant’anni, nel 1587, per l’improvvisa morte del fratello Francesco I, lasciò Roma e l’abito talare per assumere come granduca il comando della Toscana, i lusingati neofiti lo seguirono a Firenze dove acquisirono simpatie e benemerenze. Difatti, facendo parte di una famiglia ricca e generosa, elargirono fondi per opere di beneficenza e di edilizia religiosa, come la costruzione del portico della chiesa di San Domenico (posta sulla strada per Fiesole), disegnato da Matteo Nigetti; a questo architetto, nel 1637, affidarono anche i lavori per la facciata della chiesa di San Salvatore d’Ognissanti, portata a termine in stile barocco, una delle prime opere di questa espressione a Firenze. Lo stemma che decorava fino a qualche anno fa la cantonata, probabilmente fu collocato a evidenziare dove Vitale abitò inizialmente con i suoi familiari, abitazione poi adibita ad asilo dei catecumeni, successivamente trasferito nel monastero di San Giovanni delle Cavalierisse in Via San Gallo. Certamente fu l’ex rabbino, a coniare il sottostante motto per esternare la sua gratitudine all’importante famiglia fiorentina che oltre a governare la Toscana, dette alla Chiesa anche due papi. Parimenti al motto, sull’architrave di una finestra al secondo piano dal lato della Piazzetta di San Michele Visdomini, ne fece scrivere un altro in caratteri ebraici, così come un terzo sopra l’arme medicea, iscrizioni che il tempo e i rifacimenti hanno cancellato. Il grande stemma è stato tolto e forse giace nell’oblio in qualche deposito in attesa del restauro? Se così fosse, potrebbe essere il momento di prendere in considerazione il suo ripristino e la ricollocazione in sito a ricordo di quanto ci fa conoscere la storia?

SS. Annunziata

Infine, per coloro che volessero conoscere l’aspetto di Vitale e di suo figlio Alessandro, non c’è che da recarsi alla basilica della Santissima Annunziata. Entrando nell’androne che introduce al grande chiostro con il pozzo centrale, in antico detto Chiostro dei Morti, si nota a sinistra la grande porta della Sagrestia della Madonna, coronata dallo stemma mediceo, fatta costruire nel 1635, sul disegno di Matteo Nigetti, proprio dai “neofiti” Alessandro e Antonio dei Medici, per custodire paramenti, arredi, argenteria della venerata Cappella dell’Annunziata. All’interno, sull’altare, vi fu posta anche una pregevole tavola di Iacopo Vignali, raffigurante l’Assunta con San Vitale, Sant’Alessandro e San Gregorio; naturalmente allusiva ai nomi del padre e del figlio maggiore dei nuovi Medici e al papa Gregorio XIII sotto il cui pontificato avvenne la conversione. La suddetta porta è così descritta da Giuseppe Richa (T. VIII, p. 61):

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(…) una porta di marmo misto coll’imposte di noce intagliate: questa porta conduce nella Sagrestia particolare, e propria della Cappella della Santissima Nunziata fabbricata da Antonio Medici Dottore Fisico, la quale è tutta piena di armadi contenenti i paramenti, ed altre sacre, e ricche suppellettili, veggendovisi un vago altare, la cui Tavola di mano del Vignali rappresenta l’Assunta con appiè S. Alessandro e S. Vitale, e da una alla parete vedasi colorito a fresco da Cecco Bravo il Ratto di San Paolo.

Ed eccoci al dunque: ai lati della porta si vedono due busti marmorei sormontati dallo stemma mediceo policromo. Il primo a destra è quello di Vitale l’ex medico rabbino, l’altro, di suo figlio primogenito Alessandro, deceduto nel 1642, a 75 anni d’età. Nelle epigrafi di tali monumenti funebri, pregevolmente scolpiti da Orazio Mochi scultore granducale, si legge che questi marmi furono fatti collocare da Antonio Medici, figlio minore e fratello dei defunti, per onorarne la memoria. Sempre il Richa (T. VIII, pp.38-39) ci fa sapere, inoltre, che i due fratelli Alessandro e Antonio, furono anche benefattori della chiesa in quanto donarono il maestoso ciborio d’argento massiccio, l’attuale Sancta Sanctorum a otto facce, sormontato da una croce di cristallo di rocca, per l’altare maggiore, disegnato da Giovan Battista Foggini. Caritatevoli benefattori, i suddetti Medici erano anche attenti contabili almeno a giudicare dai tre Quaderni di ricevute (R 66, R 67 e R 68 dell’Archivio del Capitolo Metropolitano Fiorentino) dove dal 1612 al 1656, quasi giornalmente, venivano scritte di pugno e firmate, tutte le ricevute di soldi percepiti da coloro i quali avevano fornito materiali, vettovaglie, servizi o mano d’opera per opere di bene. Non soltanto tutto ciò, con atto testamentario di Alessandro e Antonio “del molto eccellente signore Vitale Medici” fu lasciata un’importante somma da suddividere in doti, da 10 a 40 ducati l’una, destinati a fanciulle povere con la vocazione di farsi monaca. Attraverso una precisa procedura la cui stesura si può ancora leggere nella sala principale del succitato Archivio del Capitolo, le quali doti furono regolarmente assegnate dal 1661 al 1904 (C. 73, C. 81). A ottanta anni passati, il 6 Agosto 1656, anche l’ultimo dei Medici neofiti, Antonio, passò a miglior vita; due giorni dopo i canonici del Duomo, eredi del suo non indifferente patrimonio, gli organizzarono un pomposo funerale (C. A, 18, p.154 v) provvedendo successivamente, secondo le volontà testamentari del defunto, ad inumarne la salma nel pavimento della navata centrale della chiesa di Ognissanti sotto una grande lastra tombale, di cui la metà decorata da un policromo stemma mediceo e l’altra metà con la scritta dell’epigrafe. Il Richa, nella sua più volte citata opera (T IV, pp. 280-281), a proposito della sepoltura scrive:

Nel pavimento della navata grande sono pure sotterrati Uomini Illustri con iscrizioni, e la prima alla porta è di Antonio di Vitale de’ Medici, dottissimo nella cognizione di varie scienze e lingue.

La sintesi dell’epigrafe invita chiunque entri nella chiesa, a fermarsi e pregare per Antonio di Vitale de’ Medici, illustre filosofo che esercitò la professione medica per sessant’anni, temprando la sua vita dedicata alle lettere e trascorsa senza vizi, longeva e frugale, che gli fece acquisire grandi ricchezze deliberatamente devolute nell’abbellire chiese e dotare opere pie. A questo punto possiamo riassumere e concludere sinteticamente la presente storia dei Medici neofiti, che da ebrei passarono al Cristianesimo, con il noto proverbio: A caval donato non si guarda in bocca!

L’articolo è uno dei quaranta aneddoti tratto dalla nostra ultima pubblicazione “Piazza della Santissima Annunziata”, secondo degli otto volumi della Collana “Le Piazze Fiorentine”, edita da Giorgi Libri Srl.

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