martedì, 5 Novembre 2024
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Il Torrino di Santa Rosa

Da Via Lungo le Mura di Santa Rosa, deriva il toponimo dell’oratorio della Compagnia di Santa Rosa, annesso al soppresso monastero di Santa Maria in Verzaia, passato poi ai Guglielmiti di Sant’Antonio

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Da Via Lungo le Mura di Santa Rosa, deriva il toponimo dell’oratorio della Compagnia di Santa Rosa, annesso al soppresso monastero di Santa Maria in Verzaia, passato poi ai Guglielmiti di Sant’Antonio. L’oratorio fu posto in angolo alla cinta trecentesca di mura a ridosso del tortino di guardia (eretto nel 1324), perciò detto anche Cantone di Santa Rosa.

Nel punto dove alla fine del Novecento è stato aperto il fornice, nel 1856 era stato costruito un grande tabernacolo di forme neo-gotiche, che tuttora si ammira. La nicchia a sesto acuto protegge un grande affresco dei primi del Cinquecento, dipinto da Domenico Ghirlandaio o, quantomeno, da Ridolfo del Ghirlandaio rappresentante la Pietà con la Madonna e i Santi Giovanni evangelista e Maria Maddalena. Alla base della lunetta una targa marmorea incorniciata, che risale all’anno dell’edificazione del tabernacolo, sintetizza un po’ la storia dell’affresco con questa descrizione:

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QUESTA IMMAGINE
SULLE PARETI DELL’ANTICO CONVENTO DI S. GUGLIELMO DA DOMENICO GHIRLANDAIO DIPINTA
NELLA FAMIGLIA ANTINORI DA QUELLA DEI CONCINI PERVENNE
IMPERANTE LEOPOLDO II
A SPESE DEL REGIO ERARIO
E DEL COMUNE DI FIRENZE
IN NUOVA E PIU’ DECOROSA EDICOLA L’UFFICIO DELLE PUBBLICHE COSTRUZIONI LA RIPONEVA L’ANNO DI NOSTRA SALUTE MDCCCLVI
IL PATRONO COMM. VINCENZO ANTINORI ANNUENTE


Al termine di questo breve tratto di mura, posto in angolo si trova, come già accennato, il Torrino di Santa Rosa, anticamente chiamato “della Guardia” perché guardava e difendeva la riva sinistra dell’Arno, impedendo l’ingresso alle imbarcazioni nemiche. Il Torrino è ora sede della Società Sportiva Rondinella e della Parte Bianca del Calcio Storico. Qui, proprio alla piccola torre, le mura giravano ad angolo retto e risaliva- no l’Arno terminando alla spalletta del Ponte alla Carraia, dove c’era il cosiddetto “chiesino”, cioè l’Oratorio di Santa Maria in Carraia, dove per le festività si diceva messa. Si trattava di una piccola, ma grazio- sa costruzione con cupoletta ottagonale e breve campanile a vela con una sola campana.

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A metà dell’Ottocento, per diversi anni e per tutti i giorni, la bella fioraia “Beppa da Monticelli”, moglie di un giardiniere di Boboli, entrava con i suoi fiori da Porta San Frediano e, prima di iniziare la vendita, si recava puntualmente al “chiesino” a deporre devotamente alcuni dei suoi fiori all’immagine miracolosa del Cristo, opera del fiorentino Bernardino Poccetti. Giuseppe Richa nelle sue Notizie Istoriche delle chiese fiorentine, su tale immagine ci informa: (…) che ha continuamente divati, è un Cristo morto con Dio Padre in atto di mostrarlo al Popolo, esposto nella Cappella delle monache al Ponte alla Carraia, simulacro che par vivo ed è opera a fresco delle migliori che facesse il Poccetti.

Oltre al Poccetti anche il giovane architetto Leon Battista Alberti vi dipinse una predella con tre scene, oggi perduta, ma poco apprezzata da Giorgio Vasari che così annota: Fu opera di Leombattista quella che è in Fiorenza sulla coscia del Ponte alla Carraia in una piccola cappella di Nostra Donna, cioè uno sgabello (predella) d’altare, dentrovi tre storiette con alcune prospettive, che da lui furono assai meglio descritte con la penna che dipinte col pennello. Il chiesino venne poi distrutto nel 1867 con la demolizione di tutto quel tratto di mura lungo la sponda sinistra dell’Arno, per costruire l’attuale lungarno Soderini. Il nome dato a questo tratto di strada sull’Arno derivò dalla presenza del palazzo, con a fianco un ameno giardino, dello sfortunato Gonfaloniere della Repubblica Pier Soderini eletto “a vita” dal 1502, perché giudicato uomo probo e imparziale, carica che mantenne però solo per dieci anni. L’abbattimento delle trecentesche mura, che misuravano quasi diecimila metri di perimetro, si disse che era necessario per poter consentire a Firenze di assolvere al suo prestigioso ruolo di capitale d’Italia. Fu proprio verità?

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