E se vi dicessero che le “zingarate” di “Amici Miei” non sono solo frutto della fantasia, ma dell’ingegno di qualcuno che davvero partiva dal cuore di Firenze per andare fuori porta a combinarne di ogni colore? E se vi dicessero anche che quel qualcuno è stato, nell’ordine, partigiano, pugile professionista, autista, poeta, autore di teatro, scrittore e titolare di un bar in piazza Pitti? Rodolfo Angelico, per tutti “Foffo”, in vita sua non si è fatto mancare nulla.
Glielo ricordano le fotografi e e gli attestati appesi alle pareti della sua casa di Bellariva, i libri che mostra con orgoglio rivendicando di essere lui il pozzo di aneddoti dal quale Monicelli ha attinto per dar vita ai suoi “Amici Miei”. Di certo è suo il soggetto di un’altra indimenticabile commedia all’italiana, “Cari fottutissimi amici”, anche questa diretta da Monicelli.
“Mi appassionavo ai tipi eccentrici”
Oggi Rodolfo ha 88 anni, la stessa voglia di ridere e la mente lucida di un ragazzino. Ricorda tutto ma non campa di ricordi, comincia a raccontarsi da quel che ha fatto il mattino stesso. Poi spegne la sua Chesterfield blu e attacca: “Sono nato in via Pietrapiana e cresciuto in via Michelangelo Buonarroti”, un salto all’indietro di quelli che ti stendono. “Fin da bambino mi appassionavo alle storie della gente, dei tipi eccentrici che c’erano”. E ce n’erano, in quella Firenze popolaresca ormai scomparsa. Arrivò la guerra e “durante il passaggio tragico della Repubblica di Salò” il 17enne Foffo scelse di unirsi ai partigiani, terza Brigata Rosselli.
Da partigiano a pugile
Poi, una volta deposte le armi, si dà al pugilato. “Forse mi mancava un po’ di adrenalina”, scherza. Professionista a 19 anni, lo resta fino al ‘52: “135 incontri, 12 sconfitte tutte fuori casa, cinque vittorie all’estero, cavaliere per meriti sportivi, albo d’onore della Federazione pugilistica italiana”, elenca orgoglioso. “Il presidente dell’Accademia pugilistica fiorentina era anche titolare dell’industria chimica di via D’Annunzio che produceva il Nero d’inferno, una tintura per pelli che, data la miseria, veniva messa sulle scarpe estive per farle diventare nere e quindi buone anche per l’inverno. Mi assunse come autista”.
Il pallino per via Buonarroti e la sua “fauna”, però, era rimasto. Prende carta e penna e le racconta nell’antologia “Una strada mille storie”. Compra un bar, vince concorsi per poesie e porta in scena commedie teatrali in vernacolo. “Ma la mia vera passione era il cinema”, rivela.
Così nacquero gli “Amici miei”
La grande occasione arriva nei primi anni ‘70. “Alla festa di una casa editrice fiorentina, un mio conoscente incontra lo sceneggiatore Piero De Bernardi, che gli fa: stiamo per partire con ‘Amici Miei’, ma non abbiamo abbastanza materiale. E lui: ce l’ho io. Andate da Foffo, ha un bar in piazza Pitti”. Detto fatto. “De Bernardi venne e l’incontro è durato più di quarant’anni. Arrivavano a casa mia lui, Monicelli e Tullio Pinelli. A volte partivano in tutta fretta da Roma quando al telefono accennavo una storia che poteva essere buona. Si presentarono anche con mogli e figli: ‘Vu mangiate icché c’è’, dissi io”. “Amici Miei” nacque così, nel salotto in cui Rodolfo oggi si racconta. “Mi dicevano: vendi il bar, vieni a stare con noi a Roma. Ma io avevo famiglia e quattro dipendenti, loro non davano garanzie. Cosa avrei dovuto fare? Continuai a scrivere per divertimento”.
Lavora a un progetto “poi sparito misteriosamente – ricorda tirando fuori un dattiloscritto dal titolo “Complici Miei” – sarà stato l’84 o giù di lì. Qualche anno dopo scoprii che l’avevano venduto all’estero a mia insaputa”. Monicelli lo cerca di nuovo per “Cari fottutissimi amici”, l’irresistibile novella picaresca in cui un gruppo di “sbandati” si improvvisano pugili pur di rimediare qualcosa da mangiare. Cazzotti e grasse risate: più biografico di così. “La guerra e la fame ci avevano tolto tutti i divertimenti – si congeda Foffo – è così che ho imparato a fare gli scherzi”.