Quello più alto si è arrampicato in vetta alla Torre di Arnolfo: rampante, tra la base sferica della banderuola e il giglio che punta al cielo. Quello iconico siede fiero davanti Palazzo Vecchio e il giglio lo sostiene con una zampa. Quelli delle Cascine fanno la guardia al parco. Ma ce ne sono anche molti altri, spuntano da torri, palazzi, chiese, fontane, portoni. Troppi per contarli tutti. Del resto, stiamo parlando degli animali più comuni tra le mura: del Marzocco e dei leoni di Firenze. Una fauna antica di metallo e pietra, con tante storie curiose da raccontare.
Il Marzocco è il leone di Firenze: il significato
Nel Medioevo europeo, Firenze fu l’unica città a dare due nomi al re dei felini: leone e appunto Marzocco, segno di un legame forte con l’animale totem, emblema della città e del Comune. Difficile dire quando il leone giunse in città. Le orme sfumano nella leggenda. Tanto che, secondo una tradizione suggestiva, Marzocco significherebbe piccolo Marte. Per lunghi secoli, infatti, i fiorentini medievali ricordarono in Marte la principale divinità della Florentia pagana. Un antico protettore, buono da incolpare per la continua guerra civile e le abitudini violente, anche dopo otto secoli di cristianesimo e nonostante i forti dubbi della ricerca storica, riguardo una forte devozione marziale, al tempo degli dei sull’Arno. In ogni caso, Robert Davidsohn, con la sua monumentale Storia di Firenze, trova la prima insegna di leone nel 1276, rampante e dorata, sul padiglione del Comune, nell’accampamento della guerra contro Pisa.
Senza dubbio però, il Marzocco più famoso è quello di Donatello, scolpito nel 1419, per decorare il chiostro occidentale di Santa Maria Novella, in attesa di papa Martino V. La scultura ritrae il leone seduto, in atto di reggere con una zampa lo scudo raffigurante il giglio. Nel 1821, questo leone fu trasferito innanzi Palazzo Vecchio, in sostituzione di un esemplare trecentesco ormai logoro. Così, le intemperie provarono anche il Marzocco donatelliano fino al 1865, quando l’animale riparò al Bargello, cedendo Piazza della Signoria alla sua copia. In ogni modo, questo Marzocco ispirò moltissime imitazioni, divenne iconico. E se le edizioni seicentesche del Vocabolario degli accademici della Crusca traducono Marzocco in leone, solitamente scolpito o dipinto, oggi il termine tende a coincidere esclusivamente con il felino nella posa di Donatello.
Marzocchi fiorentini vivi e vegeti, in via dei Leoni
Diverse città medievali ospitarono il proprio animale totem. Così dal XIII al XVIII secolo, Firenze allevò i “marzocchi” in carne e ossa. Le gabbie cambiarono collocazione diverse volte, lasciando traccia nell’attuale toponomastica di via dei Leoni, nei pressi di Palazzo Vecchio. Per finire, nel 1550, tra piazza San Marco e piazza Santissima Annunziata, quando i Medici costruirono un vero e proprio serraglio, dove leoni e altri animali rimasero fino al 1777. Questo perché l’assolutismo illuminato e riformatore di Pietro Leopoldo, oltre ad abolire la pena di morte, non dovette amare le gabbie e certi spettacoli rinascimentali (cacce), nel corso dei quali i fiorentini aizzavano i leoni contro altre bestie. Con più o meno successo.
Infatti, diverse volte, i leoni rifiutarono di combattere. Al tempo del Primo Popolo (1250-1260), gli animali vivevano in piazza San Giovanni. Dove, secondo la Cronaca di Giovanni Villani, il guardiano commise qualche leggerezza e un leone bello e forte riuscì a fuggire. Poco dopo, nella zona di Orsanmichele, la bestia «prese uno fanciullo e tenealsi tra le branche: udendolo la madre… come disperata, con grande pianto scapigliata corse contra il leone, e trassegli il fanciullo tra le branche, e ‘l leone nullo male fece né alla donna né al fanciullo».
Leoni di pietra, incoronati e baciati (sulle terga)
Nel 1323, la facciata di Palazzo Vecchio venne provvista di scala e ringhiera, al fine di ospitare le alte cariche della Repubblica, nonché la statua di un leone, durante le cerimonie di piazza. Non sappiamo quando i fiorentini cominciarono a incoronare questo esemplare, per la festa di san Giovanni e in occasione di eventi politici importanti, sebbene nel 1377 il novelliere Franco Sacchetti compose un distico da incidere sul copricapo regale: «corona porto per la patria degna, acciò che libertà ciascun mantegna». Nel 1377, il leone incoronato era chiaramente repubblicano. Poi, il rito decadde e risorse, almeno due volte. La rivitalizzazione dei Medici commissionò una corona nuova, simile a quella granducale. L’ultima, del Comune di Firenze, pare incrociare il distico con una corona simile a quella medicea e, non essendoci più la ringhiera, onora la copia ottocentesca del Marzocco di Donatello.
Il leone baciato testimonia invece l’inimicizia. Il 28 luglio 1364, fu il giorno celebre della battaglia di Cascina. I fiorentini sconfissero duramente i pisani e catturarono molti prigionieri. Continuando la Cronaca del fratello, Filippo Villani racconta l’ingresso dei prigionieri in città, al suono delle campane e tra nemici festanti, dopo di che furono trattati con rispetto. Più tardi, I Ricordi di Giovanni Morelli aggiunsero un particolare. Alla porta di San Frediano, attendeva gli sfortunati «un lioncino vivo, ma di poco tempo, al quale tutti i pisani prigioni baciarono il culo». Da Morelli in poi, il racconto troverà molteplici versioni. E ancora verso la fine del Settecento, Domenico Moreni avrebbe scritto di quei pisani, condotti in piazza San Giovanni e costretti a baciare le terga di un Marzocco. In realtà, Villani fu l’unico cronista a vivere il tempo della battaglia. Così, l’episodio del leone baciato, veridico o meno, testimonia soprattutto la forza di un emblema nell’immaginario.
Firenze, città del giglio e del Marzocco
In conclusione, abbiamo percorso a ritroso profonde orme leonine, scoprendo una tradizione forte. Tanto che i fiorentini festeggiavano la nascita dei cuccioli e temevano il malaugurio, quando i leoni si azzuffavano e qualcuno ne moriva. Davvero gli emblemi di Firenze sono due. E il Marzocco sa riunirli, quando il leone seduto sorregge, con la zampa, lo stemma del giglio.