venerdì, 25 Aprile 2025
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Costa Concordia, a due mesi dalla tragedia / FOTO

Sono passati due mesi dal naufragio della Concordia davanti all'Isola del Giglio. Sessanta giorni caratterizzati da indagini, recuperi e sospetti. Il bilancio delle vittime si è aggravato ora dopo ora, di pari passo all'aggravarsi della posizione del comandante Schettino, l'uomo che ha condotto la nave verso lo scoglio ''fatale''.

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Sono passati due mesi da quel tragico 13 gennaio, giorno in cui la Costa Concordia ha cessato di galleggiare, andandosi ad incagliare nelle ”Scole”, la scogliera davanti all’Isola del Giglio. Sessanta lunghi giorni caratterizzati da indagini, recuperi e sospetti. Il bilancio delle vittime si è aggravato ora dopo ora, ma i dispersi non sono stati ancora recuperati tutti.

13 GENNAIO 2012. Nella notte del dramma, la Concordia stava navigando nelle acque davanti all’Isola del Giglio quando, avvicinatasi alla costa per un ”inchino”, in gergo un saluto in questo caso, agli isolani, colpì con un fianco uno scoglio alla punta delle Scole. Erano le 21.42 quando uno squarcio si aprì lungo la parte sinistra dello scafo. A bordo della nave lunga più di trecento metri, c’erano oltre 4000 persone tra membri dell’equipaggio e passeggeri che si stavano godendo una crociera nel Mediterraneo. La nave iniziò a sbandare e ad imbarcare acqua fino ad inclinarsi a novanta gradi. Da due mesi giace li, all’Isola del Giglio. accasciata sugli scogli e su un fondale marino ricco di specie rare. La parte destra invece, è rimasta fuori dall’acqua, sotto il sole che presto inizierà a picchiare forte sul relitto.

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I PASSEGGERI. Un black out? No. Un cambio di rotta? No. Mare mosso? Neanche. I passeggeri inizialmente non furono messi al corrente di quanto stava accadendo alla nave e, soprattutto, alle loro vite. In un primo momento si vociferava che fosse in corso un calo di corrente, un black out quindi. Ma man mano che i minuti passavano i piatti iniziavano a scivolare lungo i tavoli, i bicchieri lungo i banconi e le fiches cadevano dai tavoli da gioco. E poi, anche le persone iniziavano ad avere problemi di equilibrio. La nave si stava inclinando e fu allora che tutti si resero conto che qualcosa di più grande e più tragico di un banale black out, stava per colpire le loro vite. Una presa di coscienza che salvò molte persone, in quella fredda notte di gennaio.

L’ALLARME. Mentre tra la gente scoppiava un ”contenuto” panico, ai piani alti della Costa Concordia, in plancia di comando, il tempo di fermò. O meglio, il tempo continuò a scorrere inesorabile, ma nessuno fece niente per recuperare il recuperabile. Il comandante Schettino si trovava al comando negli ultimi minuti prima del parziale inabissamento, ma poco prima era in compagnia di una ragazza bionda, la moldava Domnica Cemortan, fatto che fece incrociare la cronaca rosa al giallo del naufragio. Quello che avvenne esattamente in plancia di comando, lo si apprese da un video choc girato da un telefonino e reso pubblico a circa un mese dalla tragedia. Tramite quelle immagini furono ricostruite le fasi e tempi esatti in cui è stato dato l’allarme. Dal filmato si apprende che realmente il panico e l’entità dello scontro sugli scogli, non aveva raggiunto le coscienze degli ufficiali che popolavano la plancia. L’allarme non fu dato subito. Venne sottovalutato o non ritenuto ”importante”. Le prime voci che parlano di danni riportati nell’impatto ma con la possibilità di proseguire tranquillamente la crociera, sono state registrate alle 22.15. Dieci minuti più tardi si vede invece Schettino, il capitano deriso dal mondo intero, mentre è al telefono. Poi una voce che dice: ”I passeggeri stanno entrando da soli nelle lance” e la replica del comandante ”Vabbuò”. Poi si sente ”Ora devo dare l’emergenza generale”, e un altro ”aspetta, aspetta” e poi ”devo dare l’emergenza generale”. L’ordine definitivo arriva alle 22 e 32: ”Abbandonare la nave”.

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LA SIRENA. ”Abbandonare la nave”. La sirena che suona. Ma i passeggeri la stavano già abbandonando la nave. Non hanno aspettato l’ordine che doveva essere comunicato dal comandante. Hanno seguito il proprio istinto, coscienti di ciò che stava succedendo. E i passeggeri hanno seguito anche il volere dei membri dell’equipaggio, coloro che hanno informato le persone sulla reale situazione in cui si trovavano e che hanno iniziato a calare in mare le scialuppe cariche di passeggeri impauriti. Prima le donne e i bambini, poi gli uomini. Tutti hanno indossato il giubbotto salvagente, o almeno, fino a che le scorte non sono state esaurite. Immagini e racconti che sembrano pronunciate dalle bocche degli spettatori all’uscita di una sala cinematografica, dopo la visione di ”Titanic”, affondato 99 anni e 9 mesi prima.

ALL’ASCIUTTO. E mentre le oltre 4000 persone a bordo della nave, tra passeggeri e membri dell’equipaggio, erano nel caos totale, il comandante Schettino era all’asciutto, su uno scoglio. Sulla terra ferma. Ma come c’è arrivato il comandante, sull’Isola del Giglio? E perchè, come vuole la prassi, non è stato l’ultimo ad abbandonare la nave? Dagli interrogatori è risultato che il capitano finì accidentalmente su una scialuppa, scivolandovi dentro. Racconto privo di fondamenta realistiche. Ma su quello scoglio, c’è arrivato davvero, come testimoniano alcune persone che lo hanno avvistato dopo il naufragio, fermo ad osservare (asciutto) la sua nave alla deriva. Nonostante Gregorio De Falco, capo della Capitaneria di Porto di Livorno, lo abbia invitato e obbligato a risalire sulla nave urlandogli contro frasi dure, Schettino, sulla nave, non ci tornò mai. Era buio e nessuno lo riportava indietro, questa la sua giustificazione.

I VIGILI DEL FUOCO. Insieme ai membri dell’equipaggio e ai vari passeggeri divenuti subito eroi, i Vigili del Fuoco sono stati senza dubbio, e lo sono ancora, gli angeli della Concordia. I soccorsi sono partiti immediatamente, ancor prima che venisse lanciato l’allarme ufficiale. Hanno aiutato passeggeri in difficoltà, soccorso donne, bambini, anziani, disabili e uomini. A bordo del relitto, dal cielo e sulla terra ferma. Hanno esplorato in lungo e in largo la nave, hanno fatto saltare in aria con microcariche alcune zone della Concordia per accedere più facilmente ai reparti non ancora perlustrati. Hanno utilizzato robot e telecamere a infrarossi per individuare i corpi. Si sono immersi in acque divenute putride e in zone pericolose. Hanno salvato vite e hanno reso ai loro cari, 20 corpi senza vita.

I DISPERSI. E quello che ci ha tenuti con il fiato sospeso per sessanta interminabili giorni, sono proprio i dispersi. Ad oggi, 25 corpi senza vita sono stati riportati sulla terra ferma. Ma cinque di questi non hanno ancora un nome e le loro famiglie non hanno ancora un corpo su cui versare le loro dolorose lacrime. Ma restano ancora 7 i dispersi di cui tre italiani Girolamo Giuseppe, 30 anni membro dell’equipaggio, Trecarichi Maria Grazia, siciliana e Arlotti Williams, padre della piccola Dayana ritrovata nei giorni scorsi. Sei tedeschi Bauer Elisabeth, Ganz Christina Mathi, Ganz Norbert Josef, Neth Margarethe, Werp Brunhild, Schroeter Margrit. Due americani Heil Barbara, Heil Gerald e un indiano Rebello Russel Terence, membro dell’equipaggio. Ancora sette anime intrappolate all’interno della nave, in zone inaccessibili dai sommozzatori dei Vigili del Fuoco, che fra qualche giorno verranno cercate da un robot telecomandato, “chiamato” Rov (Remote Operator Vehicle). Sarà lui che completerà il lavoro iniziato dai pompieri.

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