Non solo, in un momento come questo il cinema può svolgere una funzione sociale ancora di maggiore rilievo: “Raccontare il mondo del lavoro e dell’industria da un altro punto di vista, che non sia quello degli economisti o dei politici, ma quello delle persone comuni. Troppo spesso la stampa descrive questa realtà come un mercato in cui interagiscono categorie contrapposte. Il risultato è che gli operai subiscono un nuovo tipo di alienazione, esclusi dalle rappresentazioni mediatiche. Per le fabbriche è giunto il momento di aprire i cancelli alle macchine da presa”.
Durante la stessa iniziativa è stato proiettato il film Omicron, con il quale il regista, Ugo Gregoretti, nel 1963 denunciava le condizioni di lavoro in fabbrica. “Se dovessi girarlo adesso – ha commentato Gregoretti – probabilmente lo ambienterei in un call center. Con la differenza che, mentre negli anni ’60 gli operai subivano incredibili pressioni a causa di insostenibili ritmi di lavoro, adesso gli impiegati vivono con la pressione psicologica del precariato, dei tagli al personale per motivi di mercato”.