Si tratta di un alcaloide presente in varie piante, tra cui l’Idraste (Hydrastis canadensis). “E’ opportuno che questi dati vengano rapidamente esaminati – spiega il professor Fabio Firenzuoli, presidente dell’Associazione nazionale dei medici fitoterapeuti (Anmfit), nonché direttore del Centro per la Fitoterapia toscano – Si tratta infatti di programmare una serie di studi clinici finalizzati, prima di tutto, a dimostrare e garantire l’uso di questa sostanza”.
Il problema della prove scientifiche, sia in termini di efficacia che di sicurezza, è in effetti talmente sentito, da essere oggetto di uno specifico convegno sulla fitoterapia e l’agopuntura in programma Firenze il prossimo primo marzo, promosso dalla Commissione di Bioetica della Regione Toscana. Gli alcaloidi, ricorda il professore, sono composti chimici presenti nelle piante e sono spesso attivi anche a dosi bassissime.
Non di rado capita anche che siano responsabili di effetti collaterali non banali, soprattutto quando vengono utilizzati puri, cioè isolati dal loro contesto. Esempio classico è la morfina, uno dei tanti alcalodi presenti nel papavero da oppio. La morfina pura, potente analgesico, arriva a provocare arresti respiratori. In piccole dosi all’interno del decotto di papavero, è invece ottima per favorire il sonno.
Fenomeni analoghi accadono con l’Idraste e la Berberina. La pianta medicinale ha note proprietà disinfettanti ed è usata contro la diarrea, come stimolante uterino e come immunostimolante. Per precauzione, tuttavia, lo stesso Ministero non consente l’uso della pianta all’interno di integratori vegetali. Malgrado ciò la Berberina pura, che sia ottenuta dall’Idraste o da altre piante, anche ad alto dosaggio, è in commercio da alcuni anni, consigliata come prodotto naturale, sicuro ed efficace, appunto per abbassare il colesterolo.
“Ma quando questi principi attivi vengono estrapolati dal loro contesto naturale – avverte Firenzuoli – possono scatenare attività farmacologiche e tossicologiche diverse e imprevedibili. Né va dimenticato che gli studi clinici effettuati per dimostrare l’efficacia di una terapia non sono adeguati a studiarne anche la sicurezza, a meno che non sia coinvolto un congruo campione di pazienti”.
Recenti lavori sperimentali condotti in Svizzera su cavie e cellule endoteliali umane dimostrano che la Berberina ha effetti cosiddetti pro aterogeni e pro trombotici, cioè l’esatto contrario di quello che vorremmo da una terapia su pazienti con il colesterolo alto. La Berberina può inoltre aumentare l’efficacia (potenzialmente anche la loro tossicità ) di altri farmaci assunti contemporaneamente: ad esempio i digitalici, spesso assunti da cardiopatici.