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Il ponte di Brooklyn sull’Arno? Lo costruì un barcaiolo

La storia di Guido Bartoloni, traghettatore d’Arno, che costruì da solo un ponte sul fiume.

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Sembra quasi un romanzo la storia di Guido Bartoloni, traghettatore dell’Anchetta, che a metĂ  del secolo scorso decise che – dopo anni di fatica – era arrivato il momento di semplificarsi la vita e di costruire un ponte che collegasse le due rive dell’Arno.

BARCAIOLI. Chi erano i traghetattori, detti anche barcaioli? Erano quelle figure che portavano uomini, macchine e bestie da una parte all’altra del fiume, aiutandosi con un remo che faceva da timone e con un fune tesa tra le due rive. “Era nato nel 1899 ed aveva appena diciott’anni quando andò in guerra e fu assoldato nel genio pontieri – spiega la signora Milena Torrini, nipote di Guido Bartoloni -. Quando tornò all’Anchetta decise che era arrivato il momento di costruire un ponte”.

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IL PROGETTO. L’unico piccolo inconveniente era che Guido non era un ingegnere, aveva appena la terza elementare e ogni sua proposta di costruire l’attraversamento veniva puntualmente bocciata dai tecnici del comune. “Ma era molto testardo – continua Milena – e non si perse d’animo. Aspettò la fine del secondo conflitto mondiale, quando al passaggio del fronte i due eserciti avversari si lasciarono alle spaller un mucchio di materiale abbandonato”. Cominciò a mettere da parte grossi pezzi di legno e ferro e alla fine riuscì a convincere l’amministrazione a dargli una chance.

LA COSTRUZIONE. “Ci vollero tre anni e 30mila fori fatti a mano per tirare su quel ponte a campata unica che somigliava in tutto e per tutto a un piccolo ponte di Brooklyn – spiega Milena mostrando le vecchie fotografie -. Una volta finita la sua grande opera, era il 1949, arrivò il momento del collaudo”.

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IL TEST. GiĂ  all’epoca si usavano i camion per testare la resistenza degli attraversamenti fluviali, ma i tecnici del Comune non si fidavano di quell’omino cocciuto e per non mettere a repentaglio la vita di un uomo, fecero attraversare il ponte ad un carro trainato da buoi senza conducente. Il risultato fu sbaloriditivo: il ponte non solo reggeva, ma era anche costruito a regola d’arte. “Fu aperto al pubblico e lo zio riscuoteva 50 lire per ogni motorino e 100 lire per ogni automobile che lo attraversava”.

L’ADDIO AL BARCAIOLO.  “Purtroppo morì tre anni dopo aver terminato la sua opera. Il paradosso è che dopo aver passato una vita a contatto con l’acqua del fiume, sfidandolo in ogni momento dell’anno, perse la vita nell’acqua salata della Versilia, per un collasso cardiaco”. L’opera di Guido Bartoloni non cedette mai sotto il peso dei pesanti carri che tutti i giorni la attraversavano e continuò a funzionare egregiamente fino al 4 novembre 1966, giorno in cui la furia dell’Arno in piena lo sradicò distruggendolo per sempre. Ma Milena Torrini pensa che sia ancora lì, adagiato sul fondo, eterna sentinella di un’epoca passata.

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