sabato, 17 Maggio 2025
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Il prosciutto di cinta senese a Piazza Affari

Anche gli allevatori toscani protestano (a modo loro) contro le ''speculazioni internazionali sulle materie prime, dall’oro al petrolio fino ai mangimi, che hanno fatto impennare i costi per l'alimentazione degli animali e messo in ginocchio migliaia di allevamenti e la vera salumeria Made in Italy''.

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Il prosciutto di cinta senese a Piazza Affari.

LA PROTESTA. Non è uno scherzo, ma quando andato in scena quedsta mattina a Milano. Occasione ne è la protesta, e la denuncia, di oltre mille allevatori della Coldiretti arrivati dalla Lombardia, Veneto, Emilia e naturalmente dalla Toscana, dove sono attive oltre 400 aziende che allevano quasi 160 mila capi, e prodotti di alta salumeria come la cinta senese, che “subiscono senza poter fare nulla le speculazioni internazionali sulle materie prime, dall’oro al petrolio fino ai mangimi, che hanno fatto impennare i costi per l’alimentazione degli animali e messo in ginocchio migliaia di allevamenti e la vera salumeria Made in Italy”.

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AZIENDE IN CRISI. Le speculazioni su materie prime ed energia, infatti – spiega una nota di Coldiretti – sono costate in un anno almeno 300 milioni agli allevatori di maiali italiani con migliaia di aziende che hanno chiuso o stanno per farlo. Accompagnati da slogan e cartelli e dalle bandiere gialle di Coldiretti (come “La speculazione è servita a tavola”, “Voi controllate le borse noi il cibo”, “Meno finanza e piu’ stalle”, “Globalizzazione senza regole tratta il cibo come i frigoriferi”, “Giù le mani dal Made in Italy”, “Più trasparenza in borsa e al mercato”), gli allevatori toscani si sono uniti al coro dei colleghi di tutta Italia.

PREZZI. Secondo un’indagine di Coldiretti “dal maiale alla braciola i prezzi aumentano di almeno 5 volte per effetto delle distorsioni che si verificano nel passaggio dalla stalla alla tavola con gli allevatori che sono costretti a chiudere le stalle e i consumatori a rinunciare alla carne”, mentre i costi dei mangimi intanto sono aumentati del 17%. Una progressiva impennata che ha scavato un solco enorme nella filiera: per ogni euro speso per l’acquisto di carne di maiale appena 15,5 centesimi arrivano all’allevatore, 10,5 al macellatore, 25,5 al trasformatore e ben 48,5 alla distribuzione commerciale. Una analisi che dimostra come nella forbice tra prezzi alla produzione e al consumo c’è – secondo Coldiretti – un sufficiente margine per garantire una adeguata remunerazione agli allevatori e non aggravare i bilanci delle famiglie.

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