mercoledì, 8 Maggio 2024
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Immigrazione, 3 lavoratori su 4 si sentono italiani. Anche in famiglia

Sono albanesi, peruviani, rumeni, filippini, ma si sentono italiani. Tanto che, anche a casa propria, parlano molto più in italiano che nella lingua d'origine: soltanto il 24,6% usa l'idioma del Paese da cui proviene per conversare con i famigliari. I dati emergono da una ricerca del Ceuriss tra i lavoratori stranieri di Cooplat, una delle più grandi cooperative italiane nel comparto dei servizi.

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Sono albanesi, peruviani, rumeni, filippini, ma si sentono italiani. Tanto che, anche a casa propria, parlano molto più in italiano che nella lingua d’origine: soltanto il 24,6% usa l’idioma del Paese da cui proviene per conversare con i famigliari. I dati emergono da una ricerca del Ceuriss tra i lavoratori stranieri di Cooplat, una delle più grandi cooperative italiane nel comparto dei servizi.

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LE VIE DELL’INTE(G)RAZIONE. I dati emersi dall’indagine sono stati discussi stamattina durante il convegno “Le vie dell’inte(g)razione”, promosso dall’associazione Romano Viviani e dalla Fondazione Italianieuropei, che è in corso di svolgimento al teatro Dante di Campi Bisenzio. L’occasione è stata la tavola rotonda su “Territorio, lavoro e immigrazione” a cui hanno partecipato il presidente di Cooplat Fabrizio Frizzi, Filippo Fossati, i segretari del Pd metropolitano di Firenze e del Pd pratese Patrizio Mecacci e Ilaria Bugetti.

400 STRANIERI. Tra i 3mila addetti di Cooplat, circa 400 sono immigrati: da qui l’idea della cooperativa di commissionare uno studio su “Lavoro e percorsi di integrazione del personale immigrato”, iniziato nel gennaio 2010 e ora prossimo alla conclusione. Dalla ricerca, condotta su un campione di 120 lavoratori non italiani, emergono con chiarezza due risultati. Il primo è appunto il senso di appartenenza all’Italia, mostrato dal 77,8% degli intervistati, contro il 68,9% che dà altrettanta importanza ai riferimenti identitari legati al Paese d’origine. Non stupisce dunque che oltre la metà (il 51%) dichiari di sentirsi “ben integrato” nel nostro Paese, mentre solo il 5% dice di continuare a coltivare un legame prioritario con la madrepatria.

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NUOVI ITALIANI. “Questi dati – si legge nella ricerca del Ceuriss – propongono una lettura in forte controtendenza con le ricerche degli ultimi anni sul senso di appartenenza degli immigrati che vede solitamente primeggiare il legame con la terra di provenienza (con percentuali non inferiori all’85-90%)”.
E se accanto a questi dati consideriamo quelli già citati sul rapporto con la lingua italiana, “potremo dire che si materializza il profilo di nuovi italiani già in questa prima generazione di immigrati”.

FAMIGLIA. L’altro dato che salta agli occhi è l’importanza che gli intervistati danno al lavoro, secondo soltanto alla famiglia e ben più avanti della nazionalità e dello stile di vita. Nelle risposte alla domanda sulle cose in cui si identificano di più, il nucleo familiare è infatti al primo posto con il 68,9% e il lavoro al secondo con il 45,9%, mentre i riferimenti allo stile di vita e alla nazionalità vengono molto dopo (rispettivamente 27% e 24,6%). E parlando di famiglia, è da notare che il 15,6% è spostata con un/a italiano/a: “ciò – si legge nell’indagine – può essere considerato un ulteriore indice della volontà di radicamento in Toscana”.

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IDEALI. Tra le cose importanti della vita, gli intervistati indicano anche gli ideali di libertà e democrazia (60,8%), il valore dell’amicizia (61,4%) e il raggiungimento di una vita confortevole (58,3%).

LAVORO. Il lavoro appare quindi un elemento molto forte nella costruzione della identità di “nuovi italiani” degli addetti immigrati di Cooplat. Su questo c’è da segnalare anche una curiosità, che però la dice lunga sul tasso di integrazione degli intervistati: sul posto di lavoro, sono più gli immigrati che si trovano bene nel rapporto con i colleghi di una nazionalità diversa (il 54,1% valuta “buoni” i rapporti) e con gli italiani (il 48,4%) che quelli che si trovano bene con i colleghi connazionali (il 46,7%).
 

CRISI. Così come per gli italiani, le brutte notizie arrivano quando si parla degli effetti della crisi economica: il 46,7% dice di “arrivare con molta difficoltà a fine mese”, soltanto il 18% “riesce a risparmiare qualcosa” e il 14,8% “spende tutto quello che guadagna”.

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