venerdì, 3 Maggio 2024
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“Turismo sostenibile? Si può”. Intervista alla professoressa Romei

L'overtourism peggiora la qualità della vita percepita dai residenti e l'esperienza dei turisti stessi. Il turismo sostenibile può salvare le città d'arte?

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La professoressa Patrizia Romei
La professoressa Patrizia Romei

La professoressa Patrizia Romei insegna Geografia economico-politica del turismo e turismo sostenibile per lo sviluppo dei sistemi locali all’Università di Firenze. Ha numerose pubblicazioni all’attivo sul tema del turismo sostenibile. Nella sua ricerca si occupa anche del fenomeno dell’overtourism.

Professoressa Romei, come siamo arrivati fin qui?

Il turismo ha avuto una crescita incredibile negli ultimi 30 anni. Un dato: dalla crisi del 2008, tutte le attività economiche hanno registrato un significativo rallentamento. Il turismo ha ricominciato a crescere già nel 2010 e ancora oggi continua a farlo su scala mondiale. L’altra tendenza degli ultimi 15-20 anni è l’accorciamento della permanenza media. Si fanno sempre più viaggi ma più brevi. La classica vacanza al mare o in montagna di 15 giorni è roba del passato, oggi la permanenza media è di due giorni e mezzo. Il “mordi e fuggi”, un turismo di breve durata concentrato nell’arco di poche settimane dell’anno. Con tutti i problemi che ne conseguono.

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Prima di tutto di sostenibilità, a partire da quella ambientale. Il turismo produce l’8% delle emissioni di CO2 mondiali, ad esempio.

Il grosso degli impatti ambientali è rappresentato dai viaggi aerei. Se prima gli spostamenti erano prevalentemente su strada, automobile e pullman, oggi dominano i voli. Il che facilita anche la maggior frequenza e la brevità dei viaggi. Dell’8% stimato dall’Organizzazione mondiale del turismo, il 5% deriva dai trasporti: è lo spostamento che inquina, di per sé il turismo impatta meno delle altre attività economiche.

Firenze e la questione overtourism

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Ci sono anche effetti sociali. Cosa succede alle economie, alle culture, alle identità?

L’altra tendenza significativa è la crescita del turismo nelle città d’arte, soprattutto quelle europee. Questo può agire sulla carrying capacity, la capacità di carico di una città, soprattutto quando si concentra in un’area ristretta. Avviene a Barcellona, Roma, Firenze e Venezia, oppure San Gimignano e Mont Saint-Michel. Quando il flusso turistico supera la capacità di carico si parla di overtourism, un fenomeno che cambia il territorio, il suo tessuto sociale ed economico.

In che modo?

Intanto, che cosa succede dove c’è overtourism dal punto di vista dell’analisi geoeconomica? Le abitazioni si trasformano in strutture ricettive perché la rendita, il valore d’uso del suolo, è molto più alta. Al posto delle case spuntano Airbnb, bed and breakfast e simili. Si ha di fatto un’espulsione dei residenti dai centri storici dove si concentrano i flussi. Così i negozi: le vecchie botteghe artigiane e al dettaglio si trasformano in paninoteche, bar e ristoranti. Una specializzazione al cibo, a uso dei turisti. Sparendo gli artigiani, anche i negozi cominciano a vendere oggetti per turisti, souvenir made in China. Città grandi come Roma e Milano mostrano segni di overtourism in alcune aree, ma essendo piuttosto estese il loro tessuto sociale assorbe meglio la pressione turistica. Le conseguenze sono più evidenti quando i flussi si concentrano in una zona ristretta, lo si vede a Venezia e a Firenze.

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Dati alla mano, esistono soluzioni?

Sì, le soluzioni ci sono. Per esempio, controllare il numero delle licenze per gli esercizi alimentari, che se lasciate al libero mercato si concentrano nei luoghi e nelle strade dove la pressione turistica è più alta. Fondamentale poi provare a decongestionare il centro, migliorando o valorizzando l’offerta turistica delle periferie. Pensiamo alle ville medicee: un patrimonio Unesco che i turisti neanche conoscono. Lo spazio turistico dev’essere gestito, non semplicemente consumato. Questo può avvenire solo attraverso politiche di sostenibilità ambientale e sociale. Anche politiche a basso costo possono avere esiti positivi.

Guardando alle altre capitali del turismo ci sono esempi di buona gestione dai quali prendere spunto?

Non moltissimi, per la verità. Il turismo di massa è un fenomeno studiato fin dagli anni ‘70, ma allora era a carico soprattutto delle destinazioni balneari. Pensiamo a cosa diventò Rimini nel dopoguerra. Il boom delle città d’arte, invece, è un fenomeno più recente. C’è chi ha introdotto una tassa in entrata per i turisti, una sorta di biglietto. Altre città hanno provato a mettere un tetto agli accessi. Qualche risultato si vede quando gli amministratori e tutti gli stakeholder – imprenditori, cittadini, associazioni di categoria – riescono a sedersi allo stesso tavolo per prendere scelte condivise. E quando si lavora in rete: Necstour, ad esempio, è la rete delle regioni europee per il turismo sostenibile e competitivo, di cui la Toscana è capofila e alla quale aderiscono 30 regioni di 17 paesi. Il rischio però è che finiti i fondi tutto si interrompa.

Secondo lei, viaggiare oggi è un bisogno primario?

Sì. Più studio il turismo e più mi rendo conto di quanto sia forte la sua componente culturale. Conoscendo un’altra città o un’altra cultura si gettano dei ponti, si apre un dialogo. E questa conoscenza è tanto più autentica quanto più ogni luogo riesce a mantenere la sua identità, altrimenti ci si ritrova in non-luoghi turistici tutti uguali. Ma il viaggio, il bisogno di conoscere spostandosi, resta una componente essenziale della nostra specie. Un bisogno sempre più primario, appunto. Per questo è in crescita in tutto il mondo.

In che modo cambierà il turismo nei prossimi anni? La “bolla” cinese sta per scoppiare?

È già scoppiata. La Cina ha scalato rapidamente le posizioni e nel 2018 è salita al quarto posto nel ranking mondiale degli arrivi turistici internazionali, superando l’Italia. È un mercato gigantesco, verso l’esterno e verso l’interno. Al quale ogni anno si aggiungono nuove destinazioni turistiche. Il turismo comincia a rappresentare una fonte di reddito per gran parte dei paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, è una sorta di volano che mette in moto anche l’artigianato, la manifattura, l’agricoltura locale. Con il vantaggio che il turismo per forza di cose non può essere delocalizzato. Se prima era un settore marginale, oggi in molti paesi il turismo sta diventando la fonte di reddito principale.

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