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Modena City Ramblers:
”I nostri 20 anni”

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Il cantante Davide 'Dudu' Morandi ripercorre la storia della band, dalle origini a oggi

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Vent'anni. Tanti ne sono passati dall'uscita del primo album dei Modena City Ramblers. Per festeggiare i molti concerti fatti e i 20 dischi incisi fino ad ora, la band emiliana ha deciso di riproporre molti dei brani che hanno tracciato la sua strada. Come? Con il Venti Tour, che prende il nome dall'omonimo disco, “Venti”, un doppio cd che contiene 31 pezzi live registrati all'Estragon di Bologna in occasione dell'apertura del tour. E, come da buona tradizione Mcr, non potevano mancare le date toscane: dopo vari concerti, di cui uno nei mesi passati proprio a Firenze, la band approderà a Campi Bisenzio, al parco di Villa Montalvo, il 20 luglio, ospite del Campi beer festival. Davide 'Dudu' Morandi, cantante della band, racconta a Il Reporter.it un po' di cose su questi 20 anni.

Vent'anni dall'uscita del primo album, vent'anni di musica, storie, cambiamenti. Come siete arrivati fin qui?
Direi bene. Siamo più stanchi, più vecchi ma si spera anche più saggi e maturi. In questi 20 anni ci sono stati molti cambiamenti e molte evoluzioni. Siamo partiti con “Riportando tutto a casa”, con uno stile molto 'irish'. Stile sempre più contaminato. Credo che 'combat folk', racchiuda al meglio quello che abbiamo fatto e continuiamo a fare. Siamo arrivati qui, 20 anni dopo, perché nonostante i cambiamenti l'idea di base dei Modena è rimasta. Ed è un'idea che piace tanto ai “vecchi”, che hanno iniziato a seguire la band dagli esordi, quanto ai più giovani, che manco erano nati nel '94.

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Come nasce l'idea di questo tour?
Per “autocelebrare” questi anni di musica abbiamo pensato di prenderci un anno sabbatico, tutti insieme, con il gruppo. Ma non come fanno tutti gli altri. Abbiamo pensato di prenderci una pausa continuando a fare musica, continuando a suonare e a fare ciò che più amiamo e più ci riesce. La passione che ci muove è davvero forte perché facciamo quello che più ci piace: questo ci rende una band forte, è la nostra anima.

Avete già in mente un nuovo progetto per andare avanti?
Certo che sì. Quello uscito questo inverno è un disco live con dentro i brani dei vari album fatti dai Modena. Pensiamo già al nuovo disco e, tra uno spostamento e l'altro, stanno già venendo fuori molte idee. Non so se seguirà lo stile di “Niente di nuovo sul fronte occidentale” o se sarà più leggero. Per il momento diciamo che tra settembre e ottobre inizieremo a lavorare su quello che sarà un disco di inediti.

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Storie di resistenza ma anche vicende più attuali nelle vostre canzoni. Come riuscite a raccontare queste storie attraverso le canzoni?
Lo si fa raccontando le storie come se si raccontassero a qualcuno, a un amico, davanti a una birra in un pub. Le nostre canzoni sono storie, racconti che servono a stimolare la gente a informarsi. Non diamo la verità assoluta, raccontiamo e lasciamo che ognuno si faccia una propria idea. Raccontiamo come facevano i cantastorie girando di paese in paese, raccontando le cose che avevano vissuto, conosciuto e scoperto nei loro viaggi.

Racconti che dietro hanno un lavoro sicuramente impegnativo. Come nasce un testo dei Modena City Ramblers?
Di solito partiamo da un'idea di base che uno di noi 7 propone. Proviamo a tirar giù il ritornello e da lì scriviamo il testo. Anche se da noi un pezzo non è mai chiuso finché non è registrato. Anche mentre lo proviamo modifichiamo le parole, fosse anche una singola parola. Ne discutiamo tutti insieme e alla fine arriviamo a una soluzione comune.

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Quindi i testi li scrivete tutti insieme…
Certo, i testi li scriviamo sempre insieme e spesso le idee vengono nei momenti più curiosi. 'La mosca nel bicchiere' (brano dell'album “Seduto sul tetto del mondo”, ndr) è nata mentre stavamo andando a suonare. Eravamo in viaggio nel nostro pulmino e una mosca è entrata. Non ci fu il verso di mandarla via e allora da lì cominciammo a canticchiare e arrangiare una prima bozza. Poi ci abbiamo lavorato sopra e ne è nata la canzone. Molte canzoni nascono in tour. Quello che ci caratterizza, direi, è il nostro lavorare sui testi tutti insieme e non buttare mai via niente, nessuna idea. Le canzoni arrivano al pubblico se le senti tue, se godi nel proporle.

Chitarra elettrica, basso, flauto, violino e addirittura la tromba. Molti strumenti per certi aspetti anche diversi. Come si arriva a farli suonare tutti insieme, in modo armonioso?
Il nostro è un lavoro di ricerca. Nella nostra musica ci vanno a finire dentro le esperienze e i viaggi che abbiamo fatto. La base da cui i Modena sono partiti è certamente la musica irish, ma poi abbiamo fatto anche altri viaggi, in Africa, in Sud America, nei Balcani. Ogni posto in cui siamo stati ha dato qualcosa alla nostra musica.

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Tornando alle origini, come nascono i Modena City Ramblers e come sono cambiati negli anni?
La band è nata da un gruppo di amici che si ritrova in un pub per bere una Guinness e suonare pezzi irlandesi. Nati in un periodo in cui U2 e Cranberries andavano molto. Anche se la vera ispirazione veniva da gruppi come i Pogues, che suonavano il tipico folk irlandese. Io li ricordo perché all'epoca li seguivo come fan e la cosa bella è che nelle prime apparizioni non sapevi mai chi sarebbe salito sul palco. Tutti si univano, uno col mandolino, un altro col bouzouki. Salivano sul palco e suonavano con la band. Dall'uscita del primo disco, nel '94, la band cominciò a prendere una sua conformazione. Anche se i cambiamenti sono una cosa ordinaria per noi. Ce ne sono stati molti nel tempo e ce ne saranno ancora, nessuno però li vive come un trauma. Sono diventati una caratteristica della band. Ciò che conta e contraddistingue i Modena City Ramblers è l'idea di base: fare musica raccontando storie nel modo più semplice possibile. Suonare e cantare con la gente, avere un rapporto col proprio pubblico. Per noi è importante, a fine concerto, scambiare due parole con chi ci ha ascoltato. Sono abituato al rapporto con la gente, è una cosa che proprio i Mcr  mi hanno insegnato.

C'è qualcosa di particolare che vi lega alla Toscana, dove ogni anno fate molti concerti?
Oltre al fatto che Francesco 'Fry' Moneti è di Arezzo? (ride, ndr). La Toscana è una terra sensibile su molti argomenti. Una terra in cui non si può dire che manchino realtà e associazioni che lottano su temi sociali. E poi diciamocelo, fare concerti in Toscana è un po' come farli a casa. Non esiste tour che non passi dalla Flog, posto che ormai conosciamo bene.

Una curiosità: tutti voi avete dei soprannomi, anche strani. Da dove vengono?
Qui in Emilia è davvero raro che qualcuno venga chiamato col proprio nome. Per tradizione tutti hanno dei soprannomi. Tradizione che so che appartiene anche alla Toscana, come dimostrano i nomignoli dei nostri amici della Bandabardò. Dudu, per esempio, mi è stato dato al liceo e da allora me lo porto dietro. Credo che solo mia madre continui a chiamarmi Davide. E poi ci sono gli altri: Franco D'Aniello, detto Franchino per la sua non enorme statura, Massimo Ghiacci, Ice dal cognome. E poi tutti gli altri.

Per concludere, qual è un pezzo che in qualche modo racchiude ciò che sono i Modena City Ramblers?
Se proprio fossi costretto a sceglierne uno, direi che un pezzo che non passerà mai e in cui rientrano tutte le cose che ho detto è “Bella Ciao”. Ormai è un pezzo che non manca mai, ogni volta che ci esibiamo lo suoniamo. Brano che rappresenta la resistenza sociale, che parla di libertà. Spesso viene etichettato come “comunista”, ma io non sono d'accordo. Direi che è una canzone che parla di lotta: ovunque nel mondo viene cantata da chi si batte per la libertà, da chi lotta perché qualcosa cambi.

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