martedì, 5 Novembre 2024
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Tutto quello che (forse) non sapete sulla storia delle Murate di Firenze

Dal loro curioso nome, alla prima "casa" sul pilone di Ponte alle Grazie, fino al complesso che conosciamo oggi: chi sono le Murate di Firenze e perché in città si dice ancora "finire alle Murate"

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Finire alla Murate: a Firenze significa “Essere arrestato e tradotto in carcere”, perché dietro a questa espressione c’è una lunga storia. Infatti, il complesso delle Murate è stato il vecchio carcere fiorentino dal 1883 al 1985, precedentemente ex monastero quattrocentesco che ebbe origine sulla prima pigna di sinistra a monte dell’antico Ponte alle Grazie. Proprio su questo pilone sorse il piccolo monastero detto delle Murate, perché le suore di clausura che lo abitavano fecero murare ogni porta per non avere contatti con l’esterno e nemmeno poter più uscire.

Murate: il significato a Firenze

Difatti, essere “murate” significava per le religiose il completo distacco dalle cose terrene. Le Murate ricevevano la carità del cibo solo attraverso una finestrella, quale indispensabile pertugio che ne consentiva l’accesso per il loro sostentamento. Si ammetteva logicamente la sortita delle sorelle, che avevano condotto una riservatissima vita di preghiera e penitenza, solo dopo la loro morte.

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Le origini di questo piccolo convento si possono far risalire al 1390 quando suor Apollonia di Cennino, già compagna di Santa Caterina da Siena, per prima vi si segregò facendo chiudere con calce e mattoni la porta d’ingresso dove rimase murata fino al 1396, quando fu raggiunta da Agata di Domenico Lucente da Pontassieve con la sua nipotina di tre anni (in seguito prenderà il nome di suor Benedetta), da Scolastica Rondinelli e quindi da altre, fino a trovarsi insieme nell’angusto spazio ben tredici religiose.

Dal Ponte alle Grazie alla storia delle “nuove” Murate

Le Murate, che seguivano una regola rigidissima dell’Ordine Olivetano, rimasero in questo “conventino” sulla pigna fino al 4 dicembre 1424 quando, non essendo più sufficiente lo spazio in relazione alle molte giovani che desideravano vivere in quell’ambiente monastico, si trasferirono in Via San Giuliano (oggi Via Ghibellina) presso le mura perimetrali della città, in un luogo più grande ristrutturando un’abitazione dotata di ampi orti, ereditata da monna Giovanna detta Nanna di Jacopo di Giunta fornaciaio e vedova di un tal maestro Lapo.

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Nel traslocare le sorelle, che non rinunciarono a continuare a farsi chiamare Murate, portarono con sé una devota immagine del Crocifisso di San Giovanni Gualberto (il santo del perdono: invece di uccidere l’omicida del fratello, gettò la spada e lo perdonò), un Calvario di Lippo Menni, una tavola della Santissima Annunziata e un’altra di San Michele Arcangelo. Il nuovo convento di clausura che andarono ad abitare, dedicato alla Santissima Annunziata, fu oggetto di molte elargizioni da parte di nobili e di anonimi benefattori, divenendo presto un importante fulcro religioso e culturale che annoverava suore appartenenti alle più insigni famiglie. Qui le Murate passarono all’Ordine dei Benedettini e, oltre alla preghiera ed alla meditazione, si distinsero anche nell’arte del ricamo in oro, argento e seta, per il quale ebbero una particolare notorietà.

Prima convento, poi carcere e infine quartiere residenziale

Pure Caterina de’ Medici, divenuta poi la grande regina di Francia, fu qui ospite durante il tempo dell’assedio del 1529-1530. Il convento venne poi soppresso nel 1808 e l’intero fabbricato fu destinato a civili abitazioni fino al 1853 quando, a seguito della demolizione delle antiche prigioni delle Stinche, vi si collocarono le nuove carceri. Tale penitenziario, una volta chiuso recentemente, è stato riciclato in civili, moderne e caratteristiche abitazioni, negozi, istituzioni e in un polo culturale.

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