Tekoşer e noi
È una storia che sembra arrivare da un tempo lontano quella di Lorenzo Orsetti, il fiorentino ucciso dall’Isis in Siria, dove da un anno e mezzo si era unito come volontario alle milizie curde dell’Ypg.
Partito e morto per un’idea, l’unico legame tra lui e quel popolo: è una storia del Novecento, quando a bruciare di simili passioni era la nostra parte di mondo e si lasciava tutto per imbracciare le armi e consegnarla a una libertà dalla quale oggi sembra persino assurdo poter prendere una decisione del genere.
La scelta di Tekoşer – nome di battaglia che aveva adottato in Siria – sfugge all’urgenza di esser razionalizzata, aggiustata nelle caselle di quella griglia mentale che usiamo per distinguere il bene e il male, il vicino e il lontano dal nostro sentire.
Estrema abbastanza da indebolire certe convinzioni profonde che abbiamo su quale sia il senso di avere un ideale, cosa si sia pronti a dare per il nostro. Perché lascia domande insolute, forti e disturbanti, e quindi la tentazione di liquidarle in fretta.
Mica che la si debba condividere, tantomeno che la strada indicata da Orsetti debba essere quella di tutti. Sarebbe bello però, e rispettoso, non farne un simbolo divisivo e ricordarlo invece tra quegli uomini disposti a pagare per la libertà di tutti, sicuri che sia questa la cosa più grande, anche più grande della vita. E che, scriveva Tekoşer dal fronte, “Non può esistere libertà senza assumersi i propri rischi”.
Andrea Tani
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