Perseverare è umano
“Satellite’s gone up to the skies, things like that drive me out of my mind”, cantava Lou Reed in Satellite of Love. Era il 1972 e le superpotenze dovevano ancora tirare il fiato da una corsa allo spazio alle ultime battute, ma l’effetto che ci fanno le immagini di un veicolo spaziale, cinquant’anni dopo, è ancora lo stesso.
Impossibile non provare un fremito quando dal centro di controllo Nasa si è gridato “Tango Delta!”, il segnale che Perseverance aveva toccato il suolo di Marte dopo quasi sette mesi di viaggio interplanetario, con una frenata inconcepibile, dai ventimila chilometri all’ora a un atterraggio morbido in sette minuti, tutto in automatico perché troppo lontano per pilotarlo dalla Terra. È la possibilità dell’ultraterreno, Prometeo che ruba il fuoco agli Dei ed evita le catene. Milioni di persone in tutto il mondo hanno osservato le prime fotografie arrivate dall’arido Pianeta rosso. Ed è singolare come, nell’anno in cui lo stato d’animo collettivo si è depresso a ogni latitudine per le ragioni note e sciagurate, proprio quel paesaggio sterile abbia prodotto un brivido di meraviglia, di speranza: di vita, laddove fino a prova contraria non ce n’è.
Una bella scrollata dallo stato di quiescenza in cui la pandemia ci ha precipitati. La missione Mars 2020 potrà dire molto sull’origine dei processi biologici e sulla natura stessa della vita. Per ora – sarà pure effimero ma chi non ne sentiva il bisogno? – ci regala un certo gusto della rivincita, un invito a spostare un po’ più avanti la frontiera della fiducia nel futuro.
Andrea Tani
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