Stiamo buttando via un tesoro. È quello finisce nella pattumiera: 246 mila tonnellate di immondizia ogni anno solo a Firenze. Scarti che, se divisi bene, possono in larga parte ridiventare materie prime: di ciò che gettiamo oggi riusciamo a rigenerare poco più della metà. Il margine per crescere c’è. E una buona gestione della partita dei rifiuti è il primo mattoncino per costruire anche a Firenze una città circolare, più sostenibile a livello ambientale, dicono gli esperti. Ma che cosa prevede di preciso il modello della città circolare (circular city), quali sono le caratteristiche e cosa la differenziano da quelle basate sull’economia lineare?
Cos’è una città circolare (circular city)
“Un sistema urbano in cui il consumo di risorse e la gestione del fine vita dei prodotti sono improntati al raggiungimento di una piena chiusura dei cicli”: così definisce una città circolare Filippo Corsini, ricercatore dell’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, e membro del laboratorio sul management della sostenibilità (SuM). Lo abbiamo intervistato sul tema.
Città circolare: un sogno realizzabile?
“Una città totalmente circolare ancora non esiste. Esistono però realtà che hanno iniziato un percorso di migliore circolarità. Nei casi che abbiamo studiato, tutto parte dalla valutazione degli aspetti che sono gestiti in maniera ottimale e di quelli che invece potrebbero essere migliorati: dai rifiuti alla mobilità dei cittadini fino alla riduzione del consumo di risorse, come acqua o energia elettrica. È necessaria la collaborazione di tutti: pubblica amministrazione, aziende, associazioni e cittadini. Anche la tecnologia gioca un ruolo sostanziale, per questo il tema della città circolare è sempre più legato a quello della smart city“.
C’è già qualche modello da cui prendere spunto?
“Ad Amsterdam è stato introdotto un approccio di urban mining (attività mineraria urbana, ndr) che consente di usare il materiale di edifici che devono essere demoliti per costruirne di nuovi. A Bruxelles sono stati avviati diversi progetti sulla simbiosi industriale tra aziende: quello che è un rifiuto per un’impresa, diventa materia prima per una seconda. La progettualità per una città circolare può essere molto ampia”.
E poi c’è la questione dei rifiuti e del riciclo
“Un aspetto fondamentale, non l’unico ma sicuramente uno di quelli di maggiore importanza. Una città circolare limita al massimo la produzione di rifiuti, ma una volta che viene generato uno scarto il sistema deve saperlo gestire di conseguenza e attuare il modello indicato dalla cosiddetta piramide europea dei rifiuti: prima di tutto bisogna preferire le opzioni che portano a un recupero della materia, come il riciclo”.
Da dove partire?
“Responsabilizzare i cittadini sull’importanza di fare una migliore raccolta differenziata: è questa la precondizione per arrivare effettivamente a percentuali di riciclo molto alte e avere così del materiale da recuperare di buona qualità. È quello che sta iniziando a fare anche Firenze con il nuovo piano dei rifiuti. Il punto essenziale è compiere una raccolta differenziata attenta, anche partendo da piccole cose. Ad esempio, se gettiamo via una bottiglietta d’acqua ancora mezza piena, probabilmente il macchinario che seleziona la plastica da avviare al riciclo la scarterà perché troppo pesante”.
Non tutto però è riciclabile: cosa fare degli scarti in una città circolare?
“Qualcosa rimane perché non abbiamo tecnologie così convenienti ed efficienti per il recupero di tutti prodotti a fine vita. E poi non tutti i materiali possono essere riciclati all’infinito. Anche in questo caso la soluzione è rispettare la gerarchia europea dei rifiuti: solo quando non è possibile compiere il riciclo passiamo al gradino inferiore della piramide, il recupero energetico”.
Termovalorizzatore quindi?
“Termovalorizzatori ma anche altre tipologie di impianti che riescono a recuperare l’energia dagli scarti. È sicuramente una scelta migliore della discarica, dove il rifiuto non ha più valore, né a livello di materia – perché ormai inutilizzabile – né a livello di potenziale energetico. Il problema è che in Italia mancano le strutture ed è per questo che siamo costretti a inviare all’estero parte dei nostri rifiuti perché siano trattati”.