giovedì, 18 Aprile 2024
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Recensione Album: Casino Royale “Io e la mia ombra”

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Per assimilare del tutto il nuovo album dei Casino Royale, sarebbe forse necessario prima respirare l’aria di Milano, fare un giro nei suoi quartieri, conoscere la città che riecheggia nelle atmosfere dei loro brani come referente di un’inquietudine sotterranea e di un vago senso di spaesamento esistenziale. A distanza di cinque anni dall’uscita dell’ultimo disco Reale, prodotto da Howie B e realizzato tra Londra e Milano, il gruppo torna sulla scena musicale italiana con Io e la mia ombra, utilizzando ancora come sfondo mentale la loro città d’origine, pretesto per raccontare l’incertezza contemporanea dell’uomo urbano attraverso nuovi spazi sonori. Ma i Casino ci hanno abituato a sublimare ciò che arriva dai possibili meccanismi estranianti della Solitudine di massa o da una realtà Senza il tempo, condizioni implementate anche dal crescente utilizzo di una comunicazione sempre più vissuta su scala virtuale. Nel 2002 sono stati, infatti, fra i primi artefici e fautori di una pratica ormai consueta: l’accesso e la fruizione agli internauti di interi brani scaricabili dal loro sito, legittimando gli utenti alla ri-elaborazione e alla ri-creazione degli stessi.

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Questo approccio sperimentale è un marchio di fabbrica della band, caratteristica che li contraddistingue nel panorama musicale fin dalle origini e non stupisce dunque che il loro regista preferito sia S. Kubrick, un autore che amava cambiare genere ad ogni film. Come era solito procedere il cineasta, se pensiamo alla loro parabola creativa, la band ha attraversato quasi ogni forma stilistica; nata con un’anima ska e amante dei fiati modello Blues Brothers (Soul of Ska e Jungle Jubilee) ha proseguito nei primi anni 90’ per le vie del rock, del reggae e dell’hip-hop (Dainamaita) per poi avvicinarsi all’acid jazz (Sempre più vicini) finché non si è aperta alla musica elettronica drum’n bass con un album Crx che ha ottenuto favorevoli consensi critici, ma non un vero successo da parte del grande pubblico. Dopo 25 anni di percorso Alioscia, Michele e Ferdi, perduto per strada nel 1999 la voce co-fondatrice del gruppo Giuliano Palma, in La mia ombra continuano a lasciarsi sedurre da una fusione di stili combinati che ben si intreccia all’incedere simultaneo del tempo che scorre. Accordata la musica alle parole, nell’ultimo lavoro rispetto a Reale (non pop ma forse più classicheggiante) il peso dell’elettronica torna ad essere considerevole. Ipnotico ed efficace il pezzo di apertura, Solitudine di massa è un brano dai toni soft e dal testo incisivo che definisce in partenza il progetto concettuale del disco. La seguente title track (con un efficace video di Cosimo Alemà) ha sonorità sicuramente più morbide, un ritornello pop con toni ballabili e sfumature ska, accompagnate da un testo che pone per contrasto inquiete domande esistenziali (“Come ti trovi? Perchè ti trovi? Dove ti trovi?”). Proseguendo l’album continua a caricarsi di una tensione densa degli irrisolti umori urbani, cui corrispondono i ritmi rock di Ogni uomo una radio e la sincopata- elettronica Il fiato per raggiungerti, un pezzo che trasmette istantaneamente con la musica il senso delle sue parole.

Torna dunque lo ska, spicca l’elettronica ed emerge il rap, come nella bellissima Città di niente dove Milano diventa una “metropoli/necropoli”, una città di morti che i Casino continuano ad amare o in Stanco ancora no, che definisce e racconta un altro rapporto d’amore: quello tra il gruppo e la loro musica. Un album dunque atteso molto tempo dall’accolita dei royalisti e che non deluderà le loro aspettative, mentre per chi non conoscesse la band sarà una lieta sorpresa poiché il gruppo continua ad essere perfettamente inserito nelle esigenze di un presente che se in precedenza è stato capace di anticipare, stavolta è stato intuitivamente capace di cogliere.

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