Uscito a febbraio sotto un’aurea di mistero, Hermann arriva dopo nemmeno un anno dal bel Dissolution.
La storia, che ormai sembra puro racconto mitologico, parla dei Paolo Benvegnù che si imbattono e leggono un libro di tale Fulgenzio Innocenzi. Il titolo del manoscritto è appunto, Hermann, e ispirati decidono di scriverci un album.
Di questo Fulgezio Innocenzi non si trova una riga in rete e sappiamo di lui solo che è: “Meccanico di Lucignano, noto per i suoi studi sulla scrittura ottica e sulla meccanica di precisione”. Tutto lascia pensare ad un gioco, un divertissement dei Paolo Benvegnù per loro e per il loro pubblico.
Hermann è in qualche modo una sinfonia: ha poco senso soffermarsi su di un’unica canzone (movimento): la compiutezza la si trova nella bellezza del suo insieme. L’attenzione si rivolge alla storia umana. Come dei moderni Ulisse siamo costantemente in tensione per la conquista e l’impresa e la novità.
L’intento è molto ambizioso e se i Paolo Benvegnù non hanno mai praticamente fatto un passo falso, questo potrebbe essere il primo. Forse troppo carico e non di facile lettura, non brutto, intendiamoci, ma troppo.
Difficile riuscire a rintracciare un filo d’Arianna, e la sensazione è quella di lasciarsi andare ad una corrente, senza indugiare troppo nel cercare di capirla. Ci troviamo di fronte ad un intricatissimo lungometraggio composto da tredici brani.
Partiamo con Il pianeta perfetto con richiami sonori agli ultimi Afterhours per poi passare a Moses dove troviamo un ritornello chiaro marchio di fabbrica del gruppo. Molto intrigante e veramente bella la terzina formata da Love is talking. Quasi epica per la tensione che riesce a trasmettere, Ho visto un sogno, che passa dalla pop song di un certo spessore all’apogeo di archi per finire nel folk. Stessa misura e attenzione nella non meno convincente Achab in New York. Chi ama i richiami musicali si accorgerà dell’incipit e dell’arrangiamento di Avanzate: molte sono le assonanze con Karma Police dei Radiohead. Non manca quindi un’intenzione nel voler prendere strade diversificate come in Good Morning, Mr. Monroe, quasi funky.
Ma il tutto è un po’ prevedibile sopratutto nelle parti più pop piene d’archi. Quello che non possiamo non notare è la direzione che questi brani intraprendono rispetto a quello estremamente autobiografico di Dissolution: Hermann è indirizzato per un collettivo e per una coralità e forse in questo è dispersivo.
Paolo Benvegnù è e rimane una delle migliori penne e menti d’Italia, ma la sensazione è che in questo album sia un pò sottotono.
E da lui non ci si aspetta mai.
Paolo Benvegnù in concerto A Firenze
2 Aprile
Viper Theatre
ore 21,30