giovedì, 12 Dicembre 2024
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Recensione album: Red Hot Chili Peppers – I’m with you

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“Sai?” disse l’asino. “Io vado a Brema a fare il musicante, vieni anche tu e fatti assumere nella banda.” Il cane era d’accordo e andarono avanti. (I musicanti di Brema, Fratelli Grimm)

 È passato già qualche giorno dall’uscita di I’m with you e ben cinque anni dal precedente album dei Red Hot Chili Peppers, Stadium Arcadium.  Tra le novità del loro ultimo lavoro, la più sostanziale è l’uscita dal gruppo di John Frusciante.  L’evento non è risultato affatto marginale per la band californiana che si è trovata a dover ridiscutere ancora una volta la propria formazione e reagire alla perdita di una figura così storica nell’immaginario musicale.

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Davanti ad un bivio, i RHCP hanno deciso di restare compatti e ingaggiare il polistrumentista Josh Klinghoffer (già collaboratore di Frusciante): scelta che ad oggi pare riuscita, almeno se osserviamo le classifiche dei trenta paesi dove il disco ha raggiunto la gloria. Anche senza rivolgerci ai dati di mercato, sembra tuttavia che tale assenza non abbia lasciato un vuoto insostituibile, considerato come i segnali di chitarra, lanciati dal nuovo arrivato, si sono subito ben sintonizzati con i rimasti.

I’m with you non ha nessuna title track, ma si è presentato al pubblico con il singolo The Adventures Of Rain Dance Maggie. Il brano è un pezzo rock melodico, affiancato da un video in cui i quattro musicisti improvvisano un concerto a sorpresa sul tetto di un grattacielo. Il singolo è carico di una notevole vitalità e un trascinante desiderio di Dance, Dance, Dance (traccia finale del disco molto ritmata, ma poco interessante) che coinvolge in primo luogo per la voce di Anthony Kiedis.

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In un album, caratterizzato da (nuovi) riff di chitarra, giri dello (storico) basso di Flea e dalla presenza costante di una solida batteria, con rari interventi di tromba (Did I Let You Know), non potevano mancare influssi nomadi, coerentemente alla sua anima rock. Dopo un viaggio ai confini dell’Africa, la composizione si è arricchita di Ethiopia, un pezzo marcatamente afro che riveste il disco di una sfumatura solare e sprazzi di quell’energia che ai RHCP manca raramente. Elemento che tuttavia si fonde con parole dure e controverse, legate ai temi del margine, della desolazione, del sesso, della morte, come in Brendan Death (dedicata all’amico scomparso B. Mullen) dove un’intensa musica in crescendo suggerisce quanto “le notti sono lunghe/ma gli anni sono brevi/quando sei vivo”.

Tra le quattordici tracce, risaltano anche Fatctory Of Faith, pezzo in cui cantante e chitarrista duettano insieme in un’interessante soluzione funky e un brano dai toni più hardrock quale Goodbye Hooray, dove gli strumenti comunicano in una sorta di dialogo sincopato. Non ci resta dunque che chiederci quanto siano ancora piccanti questi peperoncini tanto amati. Un cambiamento probabilmente c’è stato, naturale conseguenza di ogni ricetta in cui si modificano gli ingredienti, e forse il loro gusto si è tramutato in qualcos’altro, ma il sapore è certamente rimasto.

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A riprova del fatto guardate voi:

http://www.youtube.com/watch?v=RtBbinpK5XI 

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