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Recensione Film Habemus Papam

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Dio vede in me capacità che non ho. Dove sono, dottore? Le cerco e non le trovo

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Habemus Palma d’Oro a Cannes? A maggio avremo risposta a questa pruriginosa domanda, intanto parliamo dell’ultimo film di Nanni Moretti. Questa pellicola era un progetto su cui il regista romano aveva già messo mano da qualche anno, ma che non era mai stato portato avanti, soprattutto per motivi di costi. Voci di corridoio parlano di cifre al di sopra dei 7 milioni di euro, spesi per le ambientazioni dato che il Vaticano non ha concesso l’autorizzazione a girare scene nella propria sede. Il tentativo in cui Moretti si è cimentato era arduo, complicato nel gestire e il risultato è un film affascinante per certi aspetti, incompiuto sotto altri.

Morto un papa se ne fa un altro. Il detto lo conosciamo tutti e pressappoco anche le dinamiche che avvengono all’interno del Conclave che decide il nuovo Pietro. Anche  questa volta i Cardinali si riuniscono e dopo due fumate nere trovano una maggioranza di preferenze che porta un nome inatteso ( soprattutto per le scommesse dei bookmakers): il Cardinale Melville. Lui per primo rimane stravolto da questa scelta a cui deve sottostare, ma il senso di inadeguatezza, soprattutto nei confronti del suo predecessore, lo coglie fin da subito tanto che non sa nemmeno che nome scegliersi. Quando le ante della finestra si aprono si blocca prima che  il mondo lo conosca e il protodiacono riferisca il suo nome. 

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E qui che la vicenda personale di Melville ( un incredibile Michel Piccoli) entra in scena con il suo tracollo, con i suoi desideri che ora dovranno essere messi da parte per un bene comune più alto ( anche lo spettatore meno attento non potrà non trovare delle rassomiglianze con Papa Wojtyla: entrambi amanti del teatro, entrambi bisognosi del contatto umano con la gente comune). Per risolvere questa debacle emotiva viene chiamato uno psicanalista (Moretti): anzi lo Psicoanalista, il migliore nel suo campo.

Diciamo che con un incipit così forte, bellissimo da vedere anche grazie alla fotografia e  ai costumi e con uno spunto così fine ed esplosivo, quello che manca poi è una sceneggiatura all’altezza. I due protagonisti non si incontrano mai realmente, vivono  le proprie inadeguatezze l’uno lontano dall’altro. Il credo e la scienza messi a confronto: entrambi sulla carta infallibili, entrambi si scoprono fallibili. Come è fallibile questo film.  Il percorso emotivo di Melville non viene in realtà mai affrontato di petto e il ruolo dello psicologo, la scienza che suggerisce alla Chiesa un’apertura verso alla società, all’inizio trova dei momenti spassosi e riusciti, ma alla fine non riesce a prendere una posizione precisa, perde la sua forza nel dipanarsi della storia.

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Habemus Papam appare vicino, vicinissimo a Il Caimano: molto simili nella struttura, con diverse chiavi narrative mescolate, non sempre ben amalgamate, entrambi con un finale iperbolico (Il Caimano visto adesso appare profetico). Entrambi film d’impatto, ma come mancanti della forza e della spinta che Moretti prima possedeva ed ora sembra aver perduto. Risi diceva, a proposito di Moretti: “Si togliesse un po’ di mezzo per farmi vedere il film…”.

Ad oggi invece manca la sua presenza, la sua irriverenza, i suoi monologhi. Habemus Papam pare trattenuto e in questo perde la sua lucidità: forse piacerà a molti, ma perché il messaggio stesso non è urlato alla Moretti, ma pacatamente addolcito. Il film è sicuramente di uno spessore superiore a quello che il cinema italiano ci propone e alcune scene meritano davvero, come il monologo di Piccoli sull’autobus, l’ormai famoso e ultra citato torneo di pallavolo, il pazzo che recita Cechov. Ben fatto, però alla fine chi cerca un lavoro anticlericale rimarrà deluso, perchè la critica più grossa è mossa in realtà alla psicoanalisi. Da Moretti ci aspettavano un attacco al potere ben più calibrato, da La messa è finita che nel suo essere film a tratti sgradevole e forse auto compiaciuto, portava avanti forte un messaggio.

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